Le tappe del covid 19

 

Ecco tutte le tappe fondamentali della storia (anche mediatica) del nuovo coronavirus, in Cina in Italia. Dalle prime polmoniti anomale alla scoperta del virus, dalla dichiarazione dell'emergenza sanitaria al contagio in Italia, fino in ultimo alla pandemia. Due mesi e mezzo densi di avvenimenti. 

Mentre fine dicembre 2019 e inizio gennaio 2020 pensavamo ai buoni propositi per l’anno nuovo ed eravamo del tutto ignari[1] dell’emergenza sanitaria[2]  che si sarebbe creata, un nuovo virus altamente contagioso e completamente sconosciuto al nostro sistema immunitario aveva iniziato a circolare in una regione remota del globo. Non avremmo mai pensato, all’epoca, che questo virus apparentemente così lontano avrebbe potuto diffondersi e causare tanti problemi a livello individuale e collettivo, per la salute, per i sistemi sanitari ed economici. Ma in poco più di due mesi lo scenario globale è cambiato radicalmente e noi abbiamo dovuto adattarci e far fronte alle nuove esigenze.

31 dicembre 2019: “polmoniti anomale”

Già a novembre – e forse anche a ottobre, secondo le ipotesi di uno studio italiano – il nuovo coronavirus Sars-CoV-2 aveva iniziato a circolare, in Cina, in particolare a Wuhan, la città più popolata della parte orientale, perno per il commercio e gli scambi. All’inizio, però, non si sapeva che si trattava di un nuovo virus: ciò che inizia ad essere registrato è un certo numero di polmoniti anomale, dalle cause non ascrivibili ad altri patogeni.

La prima data ufficiale in cui inizia la storia del nuovo coronavirus è il 31 dicembre, in le autorità sanitarie locali avevano dato notizia di questi casi insoliti. All’inizio di gennaio 2020 la città aveva riscontrato decine di casi e centinaia di persone erano sotto osservazione. Dalle prime indagini infatti, era emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan Seafood Wholesale Market a Wuhan, che è stato chiuso dal 1 gennaio 2020, di qui l’ipotesi che il contagio possa essere stato causato da qualche prodotto di origine animale venduto nel mercato.

Fra il 9 e il 12 gennaio: l’annuncio del coronavirus

Il 9 gennaio le autorità cinesi avevano dichiarato ai media locali[3] che il patogeno responsabile è un nuovo ceppo di coronavirus, della stessa famiglia dei coronavirus responsabili Sars e della Mers ma anche di banali raffreddori, ma diverso da tutti questi – nuovo, appunto. L’Oms divulgava la notizia il 10 gennaio[4], fornendo tutte le istruzioni del caso (evitare contatto con persone con sintomi) e dichiarando – all’epoca giustamente – che non era raccomandata alcuna restrizione ai viaggi per e dalla Cina. Tutti i casi – ancora molto pochi – erano concentrati a Wuhan e non si conosceva la contagiosità di questo virus (Sars e Mers, ad esempio, molto più gravi erano però molto meno contagiose).

Il 7 gennaio il virus veniva isolato e pochi giorni dopo, il 12 gennaio, veniva sequenziato e la Cina condivideva la sequenza genetica. Questo è stato il primo passo importante, in termini di ricerca, anche per poter sviluppare e diffondere i test (i kit) diagnostici che serviranno a molti altri paesi. In questa fase la Cina stava già svolgendo un monitoraggio intensivo.

21 gennaio: il virus si trasmette fra esseri umani

Il 21 gennaio le autorità sanitarie locali e l’Organizzazione mondiale della sanità annunciavano che il nuovo coronavirus, passato probabilmente dall’animale all’essere umano (un salto di specie, in gergo tecnico), si trasmette anche da uomo a uomo[5]. Ma ancora gli esperti non sapevano (e tuttora l’argomento è discusso) quanto facilmente questo possa avvenire. Il ministero della Salute ha iniziato a raccomandare di non andare in Cina[6] salvo stretta necessità. Nel frattempo Wuhan diventava una città isolata e i festeggiamenti per il capodanno cinese venivano annullati lì e in altre città cinesi, come Pechino e Macao.

In Italia i casi erano pochissimi e tutti provenienti dalla Cina: a partire dal 29 gennaio c’erano due turisti cinesi di Wuhan contagiati, ricoverati allo Spallanzani[7] – uno degli ospedali italiani che saranno protagonisti (loro malgrado) della vicenda del coronavirus. C’era poi un ricercatore italiano positivo al virus e proveniente dalla Cina e un diciassettenne, rimasto bloccato a lungo a Wuhan a causa di sintomi simil-influenzali, non positivo al coronavirus ma ugualmente tenuto sotto osservazione e ricoverato allo Spallanzani. Tutte queste persone sono guarite e sono state dimesse nel mese di febbraio – per ultima, la paziente cinese della coppia malata, il 26 febbraio. I contagi fuori dalla Cina sono ancora molto circoscritti e limitati, con focolai per ogni paese di un manipolo di persone.

30 gennaio: l’Oms dichiara lo stato di emergenza globale

Alla fine di gennaio il rischio che l’epidemia si diffondesse passava da moderato a alto e il 27 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità scriveva che era “molto alto per la Cina e alto a livello regionale e globale”. Tanto che nella serata del 30 gennaio l’Oms dichiarava l’“emergenza[8] sanitaria pubblica di interesse internazionale” e l’Italia bloccava i voli da e per la Cina, unica in Europa. Ma la situazione in Cina stava già migliorando: pochi giorni dopo, alla data dell’8 febbraio, l’Oms scriveva che i contagi in Cina si stavano stabilizzando[9] ovvero che il numero di nuovi casi giornalieri sembrava andare progressivamente calando[10].

Febbraio: dare un nome alle cose

L’11 febbraio è arrivato il nome[11] della nuova malattia causata dal coronavirus. Il nome, scelto dall’Oms, è Covid-19: Co e vi per indicare la famiglia dei coronavirus, d per indicare la malattia (disease in inglese) e infine 19 per sottolineare che sia stata scoperta nel 2019. Questo per quanto riguarda la malattia, mentre il virus cambia nome e non si chiama più 2019-nCoV[12], ma Sars-CoV-2 perché il patogeno è parente del coronavirus responsabile della Sars (che però era molto più letale anche se meno contagiosa).

All’epidemia di Covid-19 si affianca quella dell’informazione, con notizie non sempre veritiere (molte sono fake news). Tanto che ai primi di febbraio[13] proprio l’Oms parla per la prima volta di infodemia, termine nuovo con cui si indica il sovraccarico di aggiornamenti e news non sempre attendibili.

21 febbraio: primi casi in Italia

Venerdì 21 febbraio 2020 è una data centrale per la vicenda italiana legata al nuovo coronavirus. In questa data sono emersi diversi casi di coronavirus nel lodigiano, in Lombardia: si tratta di persone non provenienti dalla Cina, un nuovo focolaio di cui non si conosce ancora l’estensione. Alcuni dei paesi colpiti (Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo ed altri) sono stati di fatto chiusi, un po’ come avviene ora per l’Italia “zona protetta”.

Fuori dalla Cina, il numero di contagiati è molto alto in Italia, Iran e Corea del Sud, anche se per l’Oms quella di Covid-19 non è ancora una pandemia[14]. Tuttavia, fra la fine di febbraio e i primi giorni di marzo 2020, dopo l’Italia, anche in altri stati (europei[15] e non solo) vengono rilevare un numero crescente di casi e un’epidemia.

4, 8 e 9 marzo: le tre date chiave dei provvedimenti in Italia

Il contagio si è diffuso nel nostro paese, soprattutto nel nord, ma inizia anche in altre regioni. Per questo, mercoledì 4 marzo[16] il governo ha dato il via libera alla chiusura di scuole e università in tutta Italia fino al 15 marzo. Alla data del 4, stando ai dati[17] della Protezione civile i positivi sono circa 2.700 e già c’è qualche caso (decine o qualche unità) in tutte le regioni. Mentre domenica 8 marzo arriva il decreto che prevede l’isolamento della Lombardia, in assoluto la più colpita, e di altre 14 province, che diventano “zona rossa”. Anche anche se la bozza ancora non ufficiale[18] del decreto era stata pubblicata da alcune testate già nella serata del 7.

E infine si arriva all’ultima data (per ora) importante per l’Italia: quella di lunedì 9 marzo. In questa giornata, intorno alle 22, Conte annuncia in televisione di aver esteso a tutto il paese le misure già prese per la Lombardia e per le altre 14 province, tanto che tutta l’Italia diventerà “zona protetta”. Le nuove norma sono contenute nel nuovo decreto Dpcm[19] 9 marzo 2020, entrato poi in vigore il 10 marzo. Di fatto la regola è contenuta nell’hashtag #iorestoacasa, si può uscire solo per comprovate ragioni di necessità come per fare la spesa, per esigenze lavorative, per l’acquisto di farmaci o per altri motivi di salute.

11 marzo: l’Oms dichiara la pandemia

Mentre l’Italia si sta muovendo – per prima in Europa, con il plauso dell’Organizzazione mondiale della sanità – per contenere il contagio, anche a livello globale sta succedendo qualcosa. L’11 marzo 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms, ha annunciato nel briefing da Ginevra sull’epidemia di coronavirus che Covid-19 “può essere caratterizzato come una situazione pandemica”. dichiarando la pandemia[20]. Ma questo non cambia di fatto le cose, almeno non per l’Italia, come hanno sottolineato le autorità nazionali, che sta già mettendo in atto le migliori misure possibili. L’obiettivo dell’Oms è quello di fare un appello[21] a tutte le nazioni per contrastare la diffusione della Covid-19.

 

 

[1] La pandemia di coronavirus non era imprevedibile. Ma il mondo è impreparato

Un contagio su scala globale non è affatto un evento raro, eppure la gran parte delle nazioni, Italia inclusa, si è fatta sorprendere dalla Covid-19

In questi giorni è diventato chiaro a tutti: la pandemia di Covid-19 è uno di quegli eventi epocali capaci di stravolgere le nostre vite e destinato a lasciare un segno sul mondo. La sensazione è un misto di angoscia e stupore: com’è possibile che questo nuovo coronavirus che sembra saltato fuori dal nulla possa creare tanto scompiglio? Scuole chiuse, saracinesche abbassate, strade silenziose dove si affrettano pochi passanti, ci si parla a un metro di distanza, ci si mette in coda per entrare in panetteria. Chi avrebbe potuto immaginare un’intera nazione in quarantena nella speranza di spezzare la catena del contagio?

Un mondo a rischio

Eppure la Covid-19 non è un cigno nero, uno di quegli eventi rari e gravidi di conseguenze, capaci di manifestarsi in modo inatteso e cogliere tutti di sorpresa. Non lo è perché, come ha spiegato lo stesso Nassim Nicholas Taleb, l’eclettico economista libanese che ha reso celebre la metafora del cigno nero, le pandemie non sono eventi imprevedibili. Al contrario, le serie storiche mostrano che si tratta di fenomeni ricorrenti, che accompagnano (e talvolta scuotono) la storia dell’umanità fin dai suoi albori. Oggi si ipotizza che circa tre volte al secolo, più o meno ogni trent’anni, un nuovo agente infettivo possa diffondersi nella popolazione mondiale, dando vita a una pandemia. Non è una regola ferrea, ma l’evidenza mostra che le epidemie sono eventi ciclici. Siamo infatti parte di un ecosistema in cui, dal continuo scambio di patogeni con altre specie animali, di tanto in tanto emerge un agente infettivo sconosciuto al nostro sistema immunitario, che nel nostro mondo globalizzato e iperconnesso trova gioco facile nel trasmettersi da persona a persona in ogni angolo del pianeta.

Una nuova pandemia era attesa al punto che, non più tardi dello scorso settembre, cioè due mesi prima che fosse identificato il nuovo coronavirus, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e la Banca mondiale avevano lanciato l’allarme: il mondo non è preparato ad affrontare il rischio di un virus pandemico, che nello scenario peggiore potrebbe fare decine di milioni di vittime e mettere in ginocchio l’economia globale. Nel rapporto Un mondo a rischio redatto dagli esperti del Global Preparedness Monitoring Board si legge che, tra il 2011 e il 2018, si sono registrate 1.483 epidemie in 172 Paesi del mondo, comprese quelle di Ebola, Sars e Zika per cui l’Oms aveva diffuso l’allerta internazionale. E che, a loro volta, erano seguite alla pandemia di H1N1, la cosiddetta influenza suina, che nel 2009 ha causato circa mezzo milione di vittime.

Le conclusioni del rapporto potrebbero apparire profetiche se non fosse che, più che a un evento inatteso, oggi siamo di fronte a un allarme disatteso: le misure necessarie per prevenire e contenere una minaccia sanitaria globale non sono state implementate. “Per troppo tempo abbiamo assistito a un alternarsi di allarmismo e disinteresse nei confronti del rischio pandemico: intensifichiamo gli sforzi quando c’è una grave minaccia, e ce ne dimentichiamo non appena il pericolo passa. Ora è tempo di agire”. Ma per quanto possa sembrare paradossale, l’OMS lamenta che neppure adesso molti Stati fanno abbastanza per prepararsi all’impatto della Covid-19.

Prepararsi all’impatto

E c’è di più. Oggi il Global Health Security Index consente di valutare la capacità delle 195 nazioni che aderiscono al Regolamento sanitario internazionale di gestire una minaccia pandemica. L’ultimo rapporto, pubblicato in ottobre, conferma che il mondo non è attrezzato per affrontare una crisi sanitaria globale. Giudicando il grado di preparazione di ogni Paese su una scala da 1 a 100, i risultati mostrano infatti che il punteggio medio è di appena 40. Soltanto Stati Uniti, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Australia e Canada ottengono la sufficienza, con un punteggio superiore a 75. Tuttavia, come si legge nel rapporto, persino questi Paesi rischiano di trovarsi in seria difficoltà durante una pandemia.

L’Italia, con un punteggio di 56 su 100, occupa il 31° posto in classifica e si colloca nella fascia intermedia. Tra i diversi indici, l’Italia è promossa nelle capacità di rilevare e segnalare in tempi brevi l’insorgere di un’epidemia di interesse internazionale (78,5 punti), ma ottiene risultati modesti nella prevenzione delle emergenze (47,5 punti) e nella capacità di risposta rapida e mitigazione (sempre 47,5 punti). Suona invece come una bocciatura il giudizio sull’efficacia del sistema sanitario nell’offrire assistenza ai pazienti e proteggere la sicurezza di medici e infermieri (appena 37 punti), doloroso effetto collaterale di decenni di tagli alla nostra sanità pubblica.

A livello internazionale, invece, il dato più inquietante è che un terzo delle nazioni del mondo appare del tutto impreparato a gestire una pandemia. E poiché siamo di fronte a rischio globale, la vulnerabilità dei Paesi con i sistemi sanitari più deboli potrebbe ripercuotersi anche su tutti gli altri, dando origine a ondate successive nella diffusione del contagio. I virus pandemici, ormai si sa, se ne fregano dei confini disegnati sulle mappe e dei controlli alle frontiere. O si vince insieme, o si perde insieme.

 

 [2] Il nuovo coronavirus è pandemia. E il resto dell’Europa sta facendo ben poco

La dichiarazione di pandemia dell’Oms è un appello alle altre nazioni a prendere più seriamente la minaccia di Sars-Cov-2 e avviare serie misure di contenimento e mitigazione

Non è un problema solo italiano. Il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 è in Europa. I numeri dicono che l’epidemia in Francia, Germania e Spagna è solo di una settimana-dieci giorni in ritardo rispetto alla situazione italiana. Eppure i Paesi dell’Unione sembrano volerlo ignorare. Per questo la decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di dichiarare ufficialmente la pandemia può essere letta come l’ennesimo avvertimento al mondo a intraprendere misure di contenimento e mitigazione severe, altrimenti la corsa del virus non rallenterà.

Pandemia è un avvertimento

Se per il nostro Paese non cambia nulla ai fini pratici, il riconoscimento ufficiale dello status di pandemia dovrebbe davvero smuovere i nostri cugini europei (e non solo, l’Oms è seriamente preoccupata per la gestione statunitense dell’emergenza Covid-19).

Durante la conferenza stampa il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha sottolineato la preoccupazione “per i livelli allarmanti di diffusione e gravità” ma anche per l’ “inazione” degli stati.

Impressione confermata anche da Walter Ricciardi alla trasmissione televisiva Agorà, durante cui ha dichiarato che l’Oms ha contatti continui con i ministri della salute di tutte le nazioni e che la sensazione è quella che la consapevolezza ci sia, ma c’è difficoltà a far accettare la necessità di provvedimenti rigidi ai colleghi responsabili di altri dicasteri.

 

 

 

Francia

Così sembra essere per la Francia, che ufficialmente si trova al livello di allerta 2 (su 3) e dove i casi nel giro di qualche giorno si sono moltiplicati fino a raggiungere quota 2.281, con 48 vittime e un centinaio di pazienti in rianimazione. Numeri che sembrano non bastare a Macron e al suo governo. Il presidente francese è stato ripreso mentre girava per ospedali per assicurarsi che i piani di emergenza fossero pronti a partire e dovrebbe parlare alla nazione nelle prossime ore, ma sembra abbia escluso per ora provvedimenti drastici simili a quelli italiani. Locali e negozi sono aperti senza restrizioni, e anche le manifestazioni sotto le mille persone sono consentite (solo qualche giorno fa c’erano circa 3.500 persone a Landerneau convinte di puffare il virus).

Germania

La Germania sa di essere all’inizio dell’epidemia, a livello dell’Italia a fine febbraio. La cancelliera Angela Merkel ha ammesso poche ore fa che probabilmente il 60-70% dei cittadini sarà contagiato dal coronavirus, aggiungendo che verranno prese misure adeguate con l’evolversi della situazione, che ha definito imprevedibile. Eppure l’Italia è proprio sotto il naso. Più preciso il ministro della salute tedesco Jens Spahn che ha dichiarato in un’intervista radiofonica a Deutschlandfunk che l’obiettivo della Germania oggi è rallentare la diffusione del virus per ridurre al minimo il picco epidemico e quindi il carico sul sistema sanitario nazionale, che seppure sia uno degli migliori in Europa, con il maggior numero di posti in terapia intensiva, potrebbe essere presto travolto. Per questo – ha detto – grandi eventi come le partite di calcio devono essere annullati. Sorprendentemente però – riporta l’agenzia Reuters – per ora non è stata annullata la partita tra Union Berlin e Bayern Monaco che si dovrebbe tenere sabato a Berlino.

La Germania, comunque, non chiuderà i confini, come invece hanno già fatto Austria e Slovenia che stanno limitando l’ingresso delle persone provenienti dall’Italia, mentre le merci circolano liberamente.

Spagna

Anche la Spagna sembra essersi svegliata improvvisamente nel mondo reale. Le ultime dichiarazioni del ministro della salute Salvador Illa parlano di 2.236 casi di contagio (decuplicati nel giro di una settimana), con 138 pazienti guariti e 54 decessi. Il Governo in queste ore ha cambiato rotta, vietando per esempio le riunioni al chiuso di oltre le mille persone nelle regioni più colpite (Madrid, la regione della Rioja e due aree nei Paesi Baschi settentrionali). Le scuole sono chiuse, le partite di calcio della Liga si giocheranno a porte chiuse per almeno due settimane. Il telelavoro è raccomandato e persino la camera bassa del Parlamento resterà chiusa per una settimana dopo che l’esponente dell’estrema destra Javier Ortega Smith è risultato positivo al tampone per il coronavirus. “Stiamo lavorando per evitare lo scenario italiano”, ha detto il ministro della in una conferenza stampa. “Con queste misure crediamo di poterlo evitare. E se dovremo prendere misure aggiuntive, le prenderemo”. Contestualmente il primo ministro Pedro Sanchez ha dichiarato che il governo garantirà medicinali e linee di credito alle piccole e medie imprese colpite dall’esplosione dell’epidemia.

 

[3] 10/01/2020 l’annuncio del coronavirus.

Il Reporter Qu Ting ha intervistato Xu Jianguo, leader del gruppo di esperti per la valutazione preliminare dei risultati di rilevamento dei patogeni e accademico dell'Accademia cinese di ingegneria. Ha detto che il gruppo di esperti ritiene che l'agente patogeno di questo caso di polmonite virale inspiegabile fosse inizialmente determinato come un nuovo tipo di coronavirus.

Domanda 1: Al momento, quali progressi sono stati compiuti nell'identificazione patogena della polmonite virale di causa sconosciuta a Wuhan?

Xu Jianguo: alle 21:00 del 7 gennaio 2020, è stato rilevato un nuovo tipo di coronavirus in laboratorio ed è stata ottenuta la sequenza completa del genoma del virus. Sono stati rilevati un totale di 15 risultati positivi per il nuovo tipo di coronavirus con metodi di test dell'acido nucleico, da 1 paziente positivo Il virus è stato isolato dal campione e ha mostrato una tipica forma di coronavirus al microscopio elettronico.

Il gruppo di esperti ritiene che l'agente patogeno di questo caso di polmonite virale inspiegabile sia stato inizialmente determinato come un nuovo tipo di coronavirus.

Domanda 2: come è stata organizzata e condotta questa identificazione del patogeno?

Xu Jianguo: Il laboratorio dell'organizzazione utilizza metodi come il sequenziamento del genoma, il rilevamento degli acidi nucleici e l'isolamento del virus per condurre test patogeni sul liquido di lavaggio alveolare dei pazienti, tamponi faringei, sangue e altri campioni.

Domanda 3: quali procedure sono necessarie per confermare l'agente patogeno?

Xu Jianguo: Per confermare l'agente patogeno che causa una certa malattia epidemica, di solito devono essere soddisfatti i seguenti punti:

(1) Il sospetto patogeno deve essere trovato nel paziente e l'acido nucleico patogeno può essere rilevato nel campione clinico del paziente;

(2) Dal campione clinico del paziente Il patogeno può essere isolato con successo;

(3) Il patogeno isolato può causare gli stessi sintomi della malattia dopo aver infettato l'animale ospite. Il titolo anticorpale dell'agente patogeno nel siero convalescente del paziente ha un aumento di 4 volte, il che può aiutare a determinare l'agente patogeno.

L'individuazione dell'acido nucleico, del genoma e delle prove anticorpali del patogeno dal paziente può essere completata in breve tempo. L'isolamento dei patogeni e l'identificazione della patogenicità e altre ricerche scientifiche possono richiedere diverse settimane. Il completamento dello sviluppo di farmaci e vaccini specifici per un nuovo patogeno può richiedere diversi anni.

Domanda 4: cosa è necessario fare dopo?

Xu Jianguo: Il team di esperti ritiene che l'agente patogeno di questo caso di polmonite virale inspiegabile sia inizialmente determinato come un nuovo tipo di coronavirus. Il passo successivo richiede il giudizio di esperti basato sulla ricerca patogena, indagini epidemiologiche e manifestazioni cliniche.

Domanda 5: che cos'è il coronavirus?

Xu Jianguo: il coronavirus è un patogeno che causa principalmente malattie respiratorie e intestinali. Ci sono molte protrusioni regolarmente disposte sulla superficie di questo tipo di particella virale L'intera particella virale è come la corona di un imperatore, da cui il nome "coronavirus". Oltre agli esseri umani, i coronavirus possono infettare anche maiali, mucche, gatti, cani, visoni, cammelli, pipistrelli, topi, ricci e altri mammiferi e uccelli. Finora, ci sono sei coronavirus umani conosciuti. Quattro dei coronavirus sono più comuni nella popolazione, con bassa patogenicità e generalmente causano solo sintomi respiratori lievi simili al comune raffreddore. Gli altri due coronavirus - la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus e la sindrome respiratoria mediorientale coronavirus, noti anche come coronavirus SARS e coronavirus MERS in breve, possono causare gravi malattie respiratorie. Il nuovo tipo di coronavirus che ha causato l'epidemia è diverso dai coronavirus umani che sono stati scoperti e sono necessarie ulteriori ricerche scientifiche per comprendere il virus.

 

[4] 10 gennaio 2020 L’Oms divulgava la notizia 

Il 31 dicembre 2019 è stato segnalato un grappolo di polmonite di eziologia sconosciuta nella città di Wuhan, provincia cinese di Hubei. Il 9 gennaio  le autorità cinesi hanno riferito ai media  che la causa di questa polmonite virale era stata inizialmente identificata come un nuovo tipo di coronavirus, diverso da qualsiasi altro coronavirus umano scoperto finora. I coronavirus sono una grande famiglia di virus respiratori che possono causare malattie che vanno dal comune raffreddore alla sindrome respiratoria mediorientale e alla sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

I segni e sintomi clinici dei pazienti riportati in questo gruppo sono principalmente febbre, con alcuni pazienti che hanno difficoltà a respirare e radiografie del torace che mostrano infiltrati polmonari bilaterali. Alcuni casi erano concessionari o fornitori operativi nel mercato del pesce di Huanan. Dalle informazioni attualmente disponibili, le indagini preliminari suggeriscono che non vi è alcuna trasmissione significativa da uomo a uomo e che non si sono verificate infezioni tra gli operatori sanitari. Sono necessarie ulteriori informazioni per comprendere meglio la modalità di trasmissione e la manifestazione clinica di questo nuovo virus. La fonte di questo nuovo virus non è ancora nota.

Viaggiatori internazionali: pratica le consuete precauzioni

Mentre la causa della polmonite sembra essere un nuovo coronavirus, il potenziale di trasmissione e le modalità di trasmissione rimangono poco chiari. Pertanto, sarebbe prudente ridurre il rischio generale di infezioni respiratorie acute durante i viaggi in o dalle aree colpite (attualmente Wuhan City) da:

evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute;

lavaggio frequente delle mani, soprattutto dopo il contatto diretto con persone malate o il loro ambiente;

evitare il contatto ravvicinato con animali vivi o morti della fattoria o animali selvatici;

i viaggiatori con sintomi di infezione respiratoria acuta devono praticare l'etichetta per la tosse (mantenere le distanze, coprire la tosse e gli starnuti con fazzoletti o indumenti usa e getta e lavarsi le mani).

Gli operatori sanitari e le autorità sanitarie pubbliche dovrebbero fornire ai viaggiatori informazioni per ridurre il rischio generale di infezioni respiratorie acute, tramite cliniche sanitarie di viaggio, agenzie di viaggio, operatori di trasporto e ai punti di ingresso.

Se un viaggiatore a bordo di un aeromobile / nave presenta segni e sintomi indicativi di infezioni respiratorie acute, il modello di dichiarazione sanitaria marittima (allegato 8 dell'IHR) o la parte sanitaria della dichiarazione generale dell'aeromobile (allegato 9 dell'RSI) può essere utilizzato per registrare le informazioni sanitarie a bordo e sottoporle alle autorità sanitarie POE quando richiesto da uno Stato Parte.

Un modulo di localizzazione passeggeri può essere utilizzato nel caso in cui un viaggiatore malato venga rilevato a bordo di un aereo. Questo modulo è utile per raccogliere le informazioni di contatto per i passeggeri e può essere utilizzato per il follow-up, se necessario. I viaggiatori dovrebbero anche essere incoraggiati ad auto-segnalarsi se si sentono male. L'equipaggio di cabina deve seguire le procedure operative raccomandate dalla International Air Transport Association (IATA) per quanto riguarda la gestione di sospette malattie trasmissibili a bordo di un aeromobile.

Traffico internazionale: nessuna restrizione consigliata

La città di Wuhan è un importante snodo dei trasporti nazionali e internazionali. Al momento, non ci sono segnalazioni di casi al di fuori della città di Wuhan. Dati i pesanti movimenti di popolazione, che dovrebbero aumentare in modo significativo durante il capodanno cinese nell'ultima settimana di gennaio, aumenta il rischio che i casi vengano segnalati altrove.

L'OMS non raccomanda misure sanitarie specifiche per i viaggiatori. Si ritiene generalmente che lo screening degli ingressi offra pochi vantaggi, pur richiedendo risorse considerevoli. In caso di sintomi indicativi di malattie respiratorie prima, durante o dopo il viaggio, i viaggiatori sono incoraggiati a consultare un medico e condividere la storia del viaggio con il proprio medico. L'OMS sconsiglia l'applicazione di qualsiasi restrizione ai viaggi o al commercio in Cina sulla base delle informazioni attualmente disponibili su questo evento.

Come previsto dall'International Health Regulations (2005) (IHR), i paesi dovrebbero garantire che:

misure di routine, personale addestrato, spazio appropriato e scorta di attrezzature adeguate nei punti di ingresso per valutare e gestire i viaggiatori malati rilevati prima del viaggio, a bordo di mezzi di trasporto (come aerei e navi) e all'arrivo ai punti di ingresso;

siano in atto procedure e mezzi per comunicare informazioni sui viaggiatori malati tra mezzi di trasporto e punti di ingresso nonché tra punti di ingresso e autorità sanitarie nazionali;

venga organizzato il trasporto sicuro di viaggiatori sintomatici verso ospedali o strutture designate per la valutazione clinica e il trattamento;

un piano di emergenza di emergenza sanitaria pubblica funzionale ai punti di ingresso in atto per rispondere agli eventi di salute pubblica.

 

[5] Il Coronavirus in Cina ora si trasmette anche tra esseri umani.

Il contagio uomo-uomo viene confermato dall'Oms e dal governo cinese. 291 i casi accertati, di cui 15 sono operatori sanitari, e 6 decessi. Più colpita la città di Wuhan, ma anche la provincia di Guangdong e Pechino. L'aeroporto di Fiumicino sta facendo controlli sui passeggeri in arrivo

La polmonite in Cina causata da un nuovo ceppo di coronavirus e iniziata alla fine di dicembre 2019 si trasmette anche tra esseri umani. Il governo cinese ha appena diffuso la notizia, il 20 gennaio 2020, e l’annuncio è stato riportato da China Daily e dalle principali agenzie di stampa locali ed estere. Il virus ha colpito infatti anche 15 operatori sanitari a Wuhan, città della Cina orientale che è la più colpita dal nuovo virus, mentre i casi totali accertati sono quasi 300. Le autorità richiamano alla massima attenzione e allerta sull’epidemia. Ecco cosa sappiamo.

La storia del nuovo coronavirus fino a oggi

Tutto è iniziato il 31 dicembre 2019, quando i media hanno reso nota la presenza di casi di polmonite dalle cause misteriose a Wuhan. Il 9 gennaio 2020 le autorità cinesi hanno dichiarato che la causa è un nuovo ceppo di coronavirus e la notizia viene diffusa dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ha fornito tutte le spiegazioni del caso. Probabilmente tutto è partito dal consumo di pesce e frutti di mare acquistati in uno dei mercati di Wuhan, chiamato Huanan Seafood Wholesale Market, chiuso temporaneamente a partire dal 1 gennaio 2020.

 

Attualmente ci sono circa 291 casi di polmonite dovuti al nuovo coronavirus, come riporta Reuters a partire dalle dichiarazioni delle autorità cinesi. Di questi, la maggior parte si sono manifestati a Wuhan, circa 14 a Guangdong, una provincia della Cina Sud-orientale vicina a Hong Kong, e 5 a Pechino. 15 operatori sanitari sono stati colpiti dal virus, a cui si aggiunge un altro caso sospetto. I decessi sono sei.

Massima attenzione

Insomma, la nuova epidemia potrebbe migrare e le autorità riferiscono che la Cina è nel periodo chiave per i trasporti e gli spostamenti per la tradizionale festa del capodanno lunare o festa di primavera, nota in Occidente come capodanno cinese, che di solito è in una data compresa fra il 21 gennaio e il 19 febbraio (si celebra alla seconda luna nuova dopo il solstizio d’inverno).

“La recente epidemia di polmonite dovuta a un nuovo coronavirus a Wuhan e in altri paesi deve essere presa in seria considerazione”, ha dichiarato il presidente Xi Jinping, come riporta The Associated Press. “ 

I comitati di partito, i governi e le istituzioni di rilievo a tutti i livelli dovrebbero porre la vita e la salute delle persone al primo posto”. A Ginevra, domani mercoledì 22 gennaio l’Organizzazione mondiale della sanità ha indetto un meeting per determinare se è necessario dichiarare una crisi sanitaria globale. Questa dichiarazione riguarda casi di malattie importanti come l’attuale epidemia di ebola in Congo, l’ebola nel 2014 nell’Africa occidentale e la Zika in America.

Cosa fa l’aeroporto di Fiumicino

Il nostro ministero della Salute avvisa: “Rimandate i viaggi non necessari”. Anche l’aeroporto romano di Fiumicino Leonardo da Vinci, uno dei tre in Europa che ha voli diretti per Wuhan, ha allertato tutte le compagnie aeree affinché ci sia un monitoraggio dei passeggeri in arrivo. Controlli che a Fiumicino già si stanno svolgendo, come rende noto l’agenzia AdnKronos. “Tutte le compagnie aeree con voli provenienti dalla Cina (tutti gli aeroporti) sia con voli diretti che con scalo intermedio devono avere a bordo un numero di Plc (scheda individuazione passeggeri per fini di sanità pubblica) pari al massimo numero di passeggeri ed equipaggio imbarcabili”, si legge nella richiesta, nella quale si sottolinea che “è fatto obbligo alle compagnie aeree di mettere in atto quanto disposto”.

Coronavirus, i prossimi passi

La trasmissione umana c’è, secondo l’Oms. “È chiaro che almeno qualche contagio tra umani è avvenuto, stando alle prove che abbiamo”, ha detto in un’intervista a Bloomberg, riferita sul Bmj, Takeshi Kasai, direttore regionale dell’Oms per il Pacifico occidentale, “ma non abbiamo ancora un’evidenza certa che dimostri che il virus si trasmette facilmente”. E per analizzare meglio le caratteristiche del contagio uomo-uomo gli scienziati hanno bisogno di un maggior numero di dati. Un gruppo del’Oms è ora a Wuhan per studiare meglio la situazione.

 

[6] Quali rischi ci sono per il coronavirus che viene dalla Cina?

La maggiore mobilità e gli spostamenti più rapidi possono favorire la diffusione della malattia. Tuttavia, ancora è difficile capire quale sia il rischio perché i dati sono pochi e in divenire. Ecco le raccomandazioni delle autorità sanitarie e le misure adottate per proteggersi

Il nuovo coronavirus in Cina, causa della misteriosa polmonite di cui si discute da quasi un mese, è ormai al centro dell’attenzione di tutte le autorità sanitarie nazionali e internazionali, nonché delle notizie dei media di tutto il mondo (e a volte anche di bufale da varie altre fonti). Non è un caso, perché la diffusione dell’epidemia, resa più semplice rispetto al passato dall’aumentata mobilità, preoccupa molto. Il bilancio sale a più di 600 contagiati e 25 decessi, secondo un recentissimo aggiornamento delle autorità cinesi riportato da Sky News. Tutto è partito da Wuhan, ma ci sono diversi casi anche a Guangdong, Pechino e altre città cinesi. E qualche episodio anche fuori dalla Cina, in Thailandia, il Giappone, la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Nonché un caso sospetto in Italia, a Bari, che si è poi rivelato un falso allarme, e 4 in Scozia, tutti ancora da confermare. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha appena tenuto una lunga e approfondita riunione d’emergenza per individuare le misure opportune. Ma per il momento non dichiara uno stato di “emergenza sanitaria globale“, come avvenne per esempio per la pandemia di influenza H1N1 nel 2009, dato che l’emergenza riguarda attualmente la Cina. Ecco qual è la situazione e i rischi che l’epidemia si diffonda anche in Europa e in Italia.

Coronavirus, i rischi ad oggi

Il virus che causa la nuova polmonite fa paura anche perché è un coronavirus, un genere che include diversi patogeni, fra cui quello che a partire dal 2002 causò la Sars, provocando la morte di 775 persone in tutto il mondo, e la Mers, che dal 2012 causò almeno 500 morti. A fronte di malati rientrati nei loro paesi e dunque di casi anche fuori dalla Cina, ci si chiede quale sia la probabilità che la polmonite si diffonda in maniera importante in altri continenti. “L’aumento della mobilità del pubblico – ha ricordato la vice ministro Li Bin della National Health Commission cinese in una dichiarazione riportata da varie testate – ha oggettivamente aumentato il rischio di diffusione dell’epidemia”.

Se i viaggi sono un fattore favorente, non bisogna però allarmarsi prima del tempo. “Attualmente è difficile stimare il rischio, anche perché siamo in possesso di dati ancora scarsi e frammentari e in continuo aggiornamento”, spiega Gianni Rezza, responsabile delle malattie infettive all’Istituto superiore di sanità (Iss). “In generale, se si manifesteranno altri focolai epidemici oltre a quello di Wuhan, in altre città della Cina o in altri paesi, questo rischio crescerà sensibilmente. Lo stesso accadrà se l’epidemia a Wuhan si intensificherà molto”. Per ora ci sono oltre 616 diagnosi accertati e 25 morti, anche se le cifre crescono di ora in ora. “I numeri non sono ancora indicativi dell’ampiezza e dell’intensità del fenomeno”, aggiunge Rezza, “e sono in crescita, per cui bisognerà attendere l’andamento delle prossime settimane e mesi”.

Inoltre, aggiunge l’esperto, bisognerà seguire le valutazioni dell’Oms, che forniranno via via una più chiara indicazione del livello di allerta. “Per ora il problema risulta abbastanza contenuto”, chiarisce Rezza. “In questo caso il virus è stato identificato molto precocemente, mentre ad esempio nel caso della Sars l’individuazione avvenne mesi dopo”. E il vantaggio in termini di tempo potrebbe essere d’aiuto nel limitare la diffusione. “Inoltre dalle analisi cliniche sembrerebbe che la Sars sia più aggressiva, anche se ancora non possiamo averne la certezza”.

Come si trasmette il coronavirus

Per capire quali e quanto sono alti i rischi bisogna partire dalle vie del contagio. Lunedì 20 gennaio il governo cinese ha reso noto che la trasmissione avviene anche per via interumana, ovvero da uomo a uomo. “Questa ipotesi era molto probabile”, commenta Rezza, “ed è ora confermata. Tuttavia ancora non sappiamo quanto la trasmissione sia efficiente”, ovvero quanto sia potente e capace il virus di spargersi fra la popolazione.

Il passaggio uomo-uomo, prosegue l’esperto, avviene probabilmente come per gli altri coronavirus, non a distanza ma in ambienti ristretti e tramite il contatto della saliva sulle mucose. “Dunque – spiega Rezza – le probabilità di ammalarsi sono alte in ambito domestico, ospedaliero e in generale in luoghi piccoli che favoriscono il contatto”. Attualmente ci sono almeno 15 operatori sanitari colpiti. “Alla luce delle informazioni disponibili oggi questo dato era prevedibile – aggiunge Rezza – e la trasmissione è avvenuta da pazienti malati. Attualmente il personale sanitario è protetto e sta adottando le stesse misure utilizzate nel caso della Sars”.

Il focolaio è per ora soltanto a Wuhan e il primo contagio sembra essere avvenuto da animali all’essere umano: dalle indagini, infatti, è emerso che i contagiati erano frequentatori assidui del mercato Huanan Seafood Wholesale Market della città, ora chiuso. “Molto probabilmente – sottolinea Rezza – non è avvenuto attraverso il consumo di alimenti, come pesce e frutti di mare, ma dal contatto con animali selvatici vivi venduti in questo mercato”. L’ipotesi sembra confermata da uno studio appena uscito sul Journal of Medical Virology, che mostra che il virus proverrebbe da serpente, esemplare venduto al mercato di Wuhan. In pratica, secondo la ricerca, il nuovo coronavirus sarebbe il frutto della ricombinazione di un coronavirus del pipistrello (anche questo animale in vendita) e un coronavirus di origine sconosciuta. Così i passaggi sarebbero tre: da pipistrello a serpente, da serpente a essere umano e successivamente uomo-uomo.

Non andare in Cina, per ora

Il ministero della Salute ha raccomandato già da qualche giorno di non recarsi in Cina salvo stretta necessità. “Si tratta di una indicazione di buon senso molto importante”, sottolinea Rezza. “Ma qualora ci si trovi già in Cina, in particolare a Wuhan [attualmente ad esempio c’è un italiano lì, ndr] è bene adottare misure di precauzione come non frequentare luoghi affollati, utilizzare possibilmente la mascherina, lavarsi frequentemente le mani”. E, ovviamente, come ricorda l’Oms, non avere contatto con animali selvatici, vivi o morti – in ogni caso i mercati che vendono fauna selvatica sono già stati chiusi.

Nel frattempo Wuhan è praticamente una città isolata, perché sono temporaneamente chiusi l’aeroporto e la stazione ferroviaria e sospesi trasporti locali. Anche i festeggiamenti per il capodanno cinese, una festa tradizionale che richiama un ampio numero di turisti, sono stati annullati a Pechino e Macao. “Misure impagabili”, ha detto il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nel corso della riunione d’emergenza dell’Oms, che riconosce che la Cina sta minimizzando il rischio di contagio.

In aeroporto

Diversi aeroporti stanno svolgendo controlli sui passeggeri in arrivo da Wuhan. Fra questi quello romano di Fiumicino Leonardo da Vinci, che è uno dei tre in Europa ad avere voli diretti verso la città. L’aeroporto ha allertato tutte le compagnie con voli in entrata dalla Cina di effettuare il monitoraggio. “Anche questa è una misura fondamentale”, spiega Rezza, “attraverso un termoscan si rileva se il passeggero ha la febbre e lo si indirizza direttamente ai reparti di malattie infettive di riferimento, nel caso di Roma allo Spallanzani”. Oggi sono stati controllati 202 passeggeri, tutti sani.

Coronavirus, la geografia del contagio

Oltre ai contagiati quasi 6mila persone hanno avuto un contatto stretto con malati e la maggior parte di queste sono sotto osservazione medica. La maggior parte delle diagnosi è a Wuhan, la più popolosa città della regione orientale, che è il focolaio epidemico da cui è partita l’infezione. Ci sono anche 15 operatori sanitari colpiti. Oltre a Wuhan, i contagiati sono a Guangdong, Pechino e in altre numerose altre città. Secondo i dati del 23 gennaio del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie Ecdc, c’è un caso a Hong Kong, due a Macao, uno in Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, oltre che 4 casi in Thailandia.

 

[7] Lo Spallanzani è riuscito a isolare il coronavirus: cosa significa davvero?

Riuscire a isolare e sequenziare il virus sarà di grande aiuto per lo sviluppo di un potenziale vaccino contro il coronavirus. Ricordiamo, tuttavia, che non è la prima volta

Anche in Italia si è compiuto un passo importante per capire il nuovo coronavirus. All’Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dove sono stati ricoverati i primi due pazienti affetti dal coronavirus nel nostro Paese, i ricercatori sono riusciti a isolare e sequenziare il 2019-nCoV, responsabile dell’epidemia che ha raggiunto oltre 17mila casi di contagio e 362 decessi, facendo così un importante passo verso la realizzazione di un vaccino efficace (precisiamo fin da subito che non sono stati né i soli né i primi a riuscire nell’impresa).

Ad annunciarlo durante una conferenza stampa sono stati il ministro della Salute ed il direttore scientifico dell’Inmi Giuseppe Ippolito. “Un passo importante per tutta la comunità scientifica che consentirà di accelerare la ricerca su questa malattia. L’Italia ha uno dei servizi sanitari migliori al mondo e oggi lo ha nuovamente dimostrato”, ha riferito Speranza. “Ora i dati saranno a disposizione della comunità internazionale. Si aprono spazi per nuovi test di diagnosi e vaccini. l’Italia diventa interlocutore di riferimento per questa ricerca”, ha aggiunto Ippolito.

Sebbene molti giornali abbiano parlato di grande impresa italiana, va precisato, che non è una prima mondiale. Già i ricercatori cinesi erano riusciti a identificare e sequenziare il nuovo virus. Non solo: come vi avevamo raccontato, l’isolamento e il sequenziamento era stato effettuato anche dai ricercatori dell’Istituto Pasteur, in Franca, e dai ricercatori dell’australiano Peter Doherty Institute for Infection and Immunity di Melbourne, che erano riusciti alcuni giorni fa a far crescere in laboratorio una versione del nuovo virus cinese. Il primo a essere stato ricreato al di fuori della Cina. Il team di ricercatori, poi, ha condiviso il proprio campione, ricreato a partire da un paziente infetto, con l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) nella speranza di accelerare ulteriormente il processo di sviluppo di potenziali vaccini.

Aver isolato il coronavirus è comunque un passo fondamentale per la ricerca, in quanto permetterà di capire se si sta modificando. Conoscere il virus, quindi, potrà permettere non solo di realizzare test diagnostici e testare farmaci in grado di trattarlo, ma anche di sviluppare vaccini che siano efficaci. “L’isolamento virale, effettuato anche in Italia dallo Spallanzani permette di sequenziare il virus e confrontarlo con i ceppi già isolati anche in Cina e al di fuori della Cina in Paesi come Francia e Australia per valutare eventuali mutazioni”, spiega Giovanni Rezza direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Iss. “In generale, l’isolamento del virus può aiutare a mettere a punto i metodi diagnostici, testare l’efficacia di molecole antivirali conosciute e identificare e potenziare eventuali punti deboli del virus al fine di consentire lo sviluppo di strategie terapeutiche e identificare eventuali target vaccinali”.

Secondo quanto riporta l’ultimo bollettino diffuso dallo Spallanzani, le condizioni cliniche della coppia cinese positiva all’infezione da coronavirus sono in continuo monitoraggio e sono discrete. Per quanto riguarda le 20 persone che hanno avuto contatto con loro continuano a essere monitorate, ma sono tutte in buone condizioni generali e la loro salute non desta preoccupazioni. Al momento nell’ospedale sono ricoverati 23 pazienti provenienti da zone della Cina interessate dall’epidemia.

 

[8] Cosa significa lo stato di emergenza globale dichiarato dall'Oms per il coronavirus.

Per la precisione è stata formalizzata la condizione di "emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale": ciò significa che la situazione è seria e richiede un'azione coordinata a livello mondiale, ma non c'è motivo di farsi prendere dal panico. Dal 2009 è già successo 6 volte

La decisione è stata presa il 30 gennaio, dopo oltre 5 ore di camera di consiglio: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), adesso ci sono le condizioni per dichiarare ufficialmente che il coronavirus 2019-nCoV rappresenta una “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”, o per farla breve una “emergenza globale”. Quasi contemporaneamente, mentre cessava l’allarme per i due turisti febbricitanti a bordo della nave della Costa Smeralda al porto di Civitavecchia, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato la presenza dei primi due casi accertati di infezione da coronavirus in Italia. Si tratta di due turisti cinesi già ricoverati all’ospedale Spallanzani di Roma, in isolamento e in condizioni ritenute “non gravi”.

Queste notizie potrebbero ulteriormente aumentare lo stato di agitazione e preoccupazione nel nostro Paese, anche perché le parole emergenza e globale di per sé non infondono certo serenità. Ma c’è davvero da essere angosciati?

Il concetto di emergenza globale secondo l’Oms.

Come la stessa Organizzazione ha scritto nel verbale conclusivo del consiglio tenutosi ieri a Ginevra, la principale conseguenza di questa emergenza formale è l’emissione di una serie di raccomandazioni temporanee, in parte specifiche per la Cina e in parte valide per tutti i Paesi a livello globale. Molte di queste misure sono rivolte alla trasparenza, alla condivisione di informazioni con gli altri Paesi e al fare cultura sanitaria con un’adeguata informazione pubblica, ma allo stesso tempo altre indicazioni suggeriscono di intensificare gli sforzi nella ricerca scientifica, nelle operazioni di contenimento del contagio e nell’esecuzione dei controlli, soprattutto nei porti e negli aeroporti.

Vista in una prospettiva storica (di breve periodo), la dichiarazione di emergenza globale non è un evento né unico né così eccezionale. Basta pensare che dal 2005, quando furono redatte le normative International Health Regulations (Ihr) in seguito alla pandemia della Sars, siamo già alla sesta occasione in cui viene presa una decisione analoga. Il primo caso fu nel 2009 con la cosiddetta influenza suina H1N1, poi nel 2014 con la poliomielite, ancora nel 2014 e poi nel 2019 con ebola, in mezzo nel 2015 con Zika e infine ora con 2019-nCoV. Non fu dichiarata invece l’emergenza nel caso di un’altra patologia dovuta a un coronavirus: la Mers nel 2013.

Su molti testi internazionali la nostrana emergenza globale viene tradotta con l’acronimo inglese Pheic, che sta per Public Health Emergency of International Concern.

Una scelta sostanziale, ma anche burocratica

Anche se la dichiarazione ufficiale lascia ben poco spazio alla fantasia e all’interpretazione, è stata la stessa Oms a premettere un chiarimento formale. “L’Organizzazione mondiale della sanità continuerà a valutare la possibilità di creare un livello di allerta intermedia tra la scelta dicotomica Pheic-non Pheic”, ossia di creare una classificazione un po’ più varia che permetta di differenziare (in qualche modo) tra diversi livelli di emergenza.

Quello che è accaduto rispetto al precedente consiglio dell’Oms del 22 e 23 gennaio scorsi, quando si decise di non far scattare l’emergenza, è che è aumentato il numero di commissari favorevoli alla decisione, in un contesto in cui né prima né stavolta c’era una posizione nettamente maggioritaria all’interno della commissione. Ad aver fatto cambiare idea ad alcuni commissari, e di conseguenza al direttore generale Tedros Adhanom, è stato l’aumento – registrato negli ultimi giorni – sia nel numero assoluto di casi sia nel numero di Paesi coinvolti da casi accertati di infezione.

I numeri che hanno fatto scattare l’emergenza

Al momento della riunione dell’Oms, i casi confermati erano 7.818, distribuiti in 19 Paesi. Solo in Cina i contagi confermati avevano raggiunto quota 7.711 (quasi il 99%), a cui si aggiungono oltre 12mila altri casi sospetti. Tra i certamente infetti, 170 persone erano già morte (ora la conta è salita a 213) e altre 1.370 si trovavano in condizioni definite “gravi”.

Fuori dalla Cina, negli altri 18 Paesi interessati dal contagio (a cui poco dopo si sarebbe aggiunta anche l’Italia) i casi totali erano 82, di cui 75 relativi a viaggiatori passati per la Cina di recente. Per gli altri casi è invece stata confermata la trasmissione da persona a persona. Fuori dalla Cina finora non sono comunque stati registrati né casi gravi, né tantomeno decessi.

Che cosa succede ora?

Quello che non accadrà – o che perlomeno l’Oms suggerisce e auspica che non succeda – è l’emarginazione dei Paesi interessati dal contagio, a iniziare dalla Cina. Il motivo principale è che non ci sono prove del fatto che impedire gli spostamenti delle persone sia utile a ridurre il contagio, e che anzi a volte il blocco dei trasporti può sottrarre risorse a interventi più utili, oltre ad avere certamente un effetto negativo sull’economia. Anche le restrizioni nel commercio sono “non raccomandate”. A fare eccezione, spiega ancora la nota diffusa dall’Oms, sono i luoghi in cui la trasmissione del virus è particolarmente intensa, o le aree in cui le infrastrutture e i sistemi nazionali non sono sufficientemente sviluppati.

Visti i progressi scientifici fatti nelle ultime settimane, secondo la commissione “è ancora possibile interrompere la diffusione del virus“. Essenziale, in questo senso, è la messa a punto di sistemi per la diagnosi precoce, l’isolamento delle persone infette e l’educazione della popolazione al rispetto delle norme igieniche essenziali.

L’altro punto enfatizzato dall’Oms è la necessità di mantenere alto il livello di cooperazione internazionale, sia per quanto riguarda la Cina sia per tutti gli altri Paesi, anche nell’ottica di aiutare quelle regioni del mondo in cui – visto il sottosviluppo dei sistemi sanitari – l’epidemia potrebbe avere gli effetti peggiori.

Le primissime reazioni dell’Italia

Il nostro governo ha stabilito anzitutto la sospensione di tutti i voli aerei diretti verso la Cina e in arrivo dalla Cina, muovendosi d’anticipo rispetto a molti altri Paesi. Fa eccezione, naturalmente, il volo di Stato con cui si vorrebbe rimpatriare una 60ina di nostri connazionali che si trovano ancora a Wuhan e che si spera rientrino tra la fine del weekend e l’inizio della prossima settimana. Nel frattempo è stato comunque stabilito che, una volta ritornati in Italia, saranno sottoposti a un periodo di quarantena di due settimane (pari al tempo massimo di incubazione del virus) in una struttura militare vicino a Roma.

Per i primi due casi già accertati, invece, oltre al ricovero in isolamento è stata predisposto il sigillo della stanza d’hotel dove alloggiavano da 8 giorni e il trasferimento in ospedale con un autobus scortato dalla polizia di tutti gli altri membri della comitiva turistica. Quanto accaduto era comunque largamente prevedibile e in parte atteso, tanto che il ministro della salute Roberto Speranza ha parlato di situazione “seria” ma per ora “totalmente sotto controllo”. Naturalmente adesso lo sforzo si concentra sull’evitare che il contagio possa diffondersi. Nella mattina del 31 gennaio un Consiglio dei ministri ad hoc dovrebbe portare alla definizione di nuove misure di prevenzione e contenimento, e si è parlato anche del coinvolgimento della protezione civile.

 

 [9] Sembra che i contagi di coronavirus si stiano stabilizzando. Cosa significa?

Negli ultimi giorni la crescita dei casi giornalieri da coronavirus è rallentata, secondo l'Oms. Ma ancora è troppo presto per dire che l'epidemia ha superato il picco. Ma è comunque una buona notizia che conferma l'importanza delle strategie di contenimento

Il nuovo coronavirus è un sorvegliato speciale (qui quanto resiste sulle superfici) e ogni giorno le autorità internazionali, fra cui l’Organizzazione mondiale della sanità, forniscono i dati dei nuovi contagiati, divisi per paesi, nonché dei decessi e dei ricoverati. Alla data del 10 febbraio 2020, il grafico dell’andamento dei contagi  è rallentata rispetto ai giorni precedenti. In pratica, potremmo stare andando verso la stabilizzazione del numero delle infezioni, che a sua volta potrebbe portare in futuro alla graduale scomparsa dei contagiati, uno scenario più favorevole (qui i due scenari che avevamo ipotizzato).

Lo dimostra il grafico riportato sulla pagina dell’Ecdc (European Centre for Disease Prevention and Control), nonché la mappa dell’Oms, Johns Hopkins Csse e Esri, sulla base dei dati forniti dalle autorità locali. Ma è ancora presto per affermare che l’epidemia ha superato il picco e bisognerà aspettare i dati dei prossimi giorni perché questo elemento sia confermato, sempre senza mai abbassare la guardia.

L’epidemia ha superato il picco?

In pratica, mentre dal 3 al 7 febbraio l’aumento dei casi andava a colpi di 4mila nuove diagnosi segnalate al giorno (per lo più a Wuhan, dove ci sono 871 decessi su 910 totali e nel resto della Cina), mentre nei giorni successivi le cifre sono risultate via via leggermente più basse. Alla data del 10 febbraio si registra una crescita di soli 400 casi, secondo le stime delle autorità locali, e l’andamento mostra appunto una flessione.

Il commento dell’Oms

Sulla base dei dati giornalieri il numero di casi del nuovo coronavirus “si sta stabilizzando”, ha scritto l’Oms l’8 febbraio, riferendo che si tratta di “una buona notizia”. Anche se è da prendere con cautela: “è troppo presto per fare qualsiasi previsione sul fatto che l’epidemia abbia superato il suo picco”. La provincia centrale di Hubei, il cui capologuogo è Wuhan, è stata l’epicentro dell’epidemia e le autorità l’hanno completamente isolata per contenere la diffusione del contagio. “C’è stata una stabilizzazione nel numero di casi riportati da Hubei”, ha detto Michael Ryan, responsabile del programma di emergenza sanitaria dell’Oms. “Ci troviamo in un periodo di stabilità di quattro giorni in cui il numero giornaliero di casi segnalati non è cresciuto. Questa buona notizia potrebbe riflettere l’impatto delle misure di controllo che sono state messe in atto”.

Insomma l’ipotesi è che si possa andare verso il cosiddetto plateau, in cui il numero di casi nel tempo rimarrà costante, per poi andare a diminuire grazie alle guarigioni dei contagiati. “Come ho detto ai media ieri”, scrive  su Twitter Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms “la diffusione di 2019-nCoV fuori dalla Cina sembra essere rallentata, potrebbe accelerare. Il contenimento rimane il nostro obiettivo”. E tutti i paesi, aggiunge, devono mettere in atto strategie di contenimento per prepararsi al possibile arrivo del virus. Anche perché, secondo lui, la trasmissione del coronavirus fuori dalla Cina potrebbe essere maggiore di quanto vediamo, soltanto la “punta di un iceberg“.

E (anche per questo) una missione internazionale di esperti in ambito sanitario, guidata dall’Oms, è già partita per la Cina. Insomma, i dati sono buoni, ma ancora non abbiamo un quadro chiaro e completo.

 

[10] Le ultime notizie sul nuovo coronavirus

I nuovi casi di coronavirus Sars-CoV-2 stanno diminuendo, rendono noto le autorità cinesi. E il picco potrebbe arrivare a breve, secondo lo scopritore della Sars. Nel frattempo la task force dell'Oms ha raggiunto Pechino e controllerà la situazione. Ecco gli ultimi risultati sul coronavirus

Più di 71mila casi e 1.775 morti, questo il bilancio al 17 febbraio del contagio del coronavirus Sars-Cov-2. Ma i casi sono in calo, come riportano le autorità cinesi. E questo già da quattro giorni, precisamente dal 13 febbraio: il grafico che rappresenta l’andamento dei contagi mostra di nuovo una stabilizzazione. Ma è ancora presto per confermarlo. Intanto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), ha annunciato su Twitter che è arrivata a Pechino la task force dell’Oms e gli esperti aiuteranno le autorità locali a controllare i criteri di conteggio dei casi del nuovo coronavirus e forniranno un quadro ancora più chiaro della situazione. Qui il grafico dell’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) alla data del 17 febbraio, dove si vede l’andamento dei casi e la diminuzione negli ultimi giorni.

Il coronavirus sui media e negli studi

Nel frattempo sui media ci sono continui aggiornamenti sull’epidemia: dal primo paziente colpito in Africa (in Egitto) al primo decesso in Europa, precisamente in Francia, un turista cinese di 80 anni. E poi, la Farnesina ha reso noto che potrebbe esserci il primo italiano con il coronavirus sulla nave Diamond Princess, ma si attendono conferme. L’attenzione è alta, non solo a livello della stampa, ma anche della scienza. E fioccano gli studi sul nuovo coronavirus (alla voce 2019-nCoV oltre 150 studi e anche cercando Sars-CoV-2 ci sono già le prime ricerche).

Febbre, all’inizio ce l’hanno solo 4 pazienti su 10

Per esempio, un recente studio condotto dal gruppo di Zhong Nanshan, epidemiologo 83enne diventato noto nel 2003 perché in prima linea nella scoperta e nello studio della Sars, si sofferma sui sintomi della nuova Covid-2019. In base a dati su più di mille pazienti, la febbre, sintomo centrale della malattia, non sarebbe presente nei primi giorni in ben 4 persone contagiate su 10. Un risultato che conferma che la sorveglianza e il monitoraggio basato solo sulla febbre, come avviene negli aeroporti, spesso non sarebbe sufficiente a rilevare tutte le persone infette. Lo studio si può trovare su medRxiv, ma ancora non è stato sottoposto al peer-reviewing, la revisione necessaria per la pubblicazione ufficiale.

Il picco forse fra metà e fine febbraio

Sempre secondo Zhong Nanshan, il picco – il numero massimo di casi dopo il quale le cifre cominceranno a scendere – potrebbe arrivare tra la metà e la fine di febbraio, come l’esperto ha dichiarato a Reuters, mentre si augura che la crisi possa rientrare “verso aprile”. Il picco, secondo lui, dovrebbe essere osservato intorno alla metà di febbraio, poi seguito da un plateau nel grafico dell’andamento dei casi (una fase in cui il numero di contagiati rimane fermo, non aumenta nel tempo) e poi una diminuzione dei malati, che guariscono.

Come avviene il contagio

Ma ci sono anche studi su come e quando avviene il contagio. I Cdc statunitensi (Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie) hanno dichiarato che il contagio avviene principalmente quando il paziente è molto sintomatico e la malattia è nel suo momento massimo. La trasmissione risulta avvenire soprattutto quando c’è un contatto stretto (stare a meno di sei piedi, che corrispondono circa a 1,8 metri) e attraverso saliva prodotta da tosse o starnuti a contatto con le mucose della persona. Il contagio da superfici, ovvero toccando un oggetto infetto e portando poi le mani alle mucose, potrebbe avvenire, ma gli esperti fanno sapere che il virus sopravvive poco e che questa non risulta una delle vie principali di trasmissione. Come anche il contagio da persone asintomatiche, che è in teoria possibile anche se considerato raro.

Coronavirus, il numero di casi

Ma quanti sono davvero i casi a oggi? La stima dei contagiati ha subito delle variazioni anche importanti nel corso di questi giorni e settimane. Alla data del 10 febbraio, per esempio, l’Oms aveva annunciato che i casi si stavano stabilizzando. Tuttavia, pochi giorni dopo, il 13 febbraio è stato registrato un forte aumento dei malati, dunque in contrasto con l’ipotesi di una stabilizzazione dei conteggi dei malati. Ma questa crescita era dovuta non ad un’impennata dei nuovi contagi, ma al cambiamento del modo in cui nella provincia di Hubei viene diagnosticata la Covid-2019. In pratica, i nuovi criteri includono la possibilità di diagnosticarla anche senza il test specifico per il coronavirus ma quando il paziente ha sintomi e un’alterazione nella tac polmonare. Anche per questo, la task force dell’Oms aiuterà la Cina e cercherà di capire se i conteggi corrispondono alla situazione reale.

 

[11] La malattia da nuovo coronavirus ora ha un nome ufficiale: Covid-19

Un appellativo neutrale che evita gli stigmi e ne descrive la natura. Ecco cosa significa la siglaControl and Prevention’s Public Health Image Library (PHIL), with identification number #23312)

Lo ha deciso l’Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra: la malattia da nuovo coronavirus, che per la prima volta si è manifestato nella città di Wuhan, in Cina, si chiama ufficialmente Covid-19. Lo ha comunicato il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, nel momento in cui le vittime per questo nuovo virus hanno appena superato il migliaio di persone.

In passato i nomi dati alle varie malattie hanno avuto un ruolo importante nel determinare non solo di cosa si stesse effettivamente parlando, ma anche per evitare la stigmatizzazione: in questo caso c’era il rischio che la nuova epidemia fosse più effettivamente identificabile con la popolazione cinese (come un tempo c’era stata la spagnola).

L’appellativo coronavirus che finora abbiamo usato, infatti, si riferisce alla famiglia di virus cui questo tipo appartiene, più che al virus in sé. “Abbiamo dovuto trovare un nome che non si riferisse a una precisa località geografica, a un animale, un individuo o a un gruppo di persone e che fosse facilmente pronunciabile e fosse legato in ogni caso alla malattia stessa“, ha raccontato Ghebreyesus ai giornalisti. Il formato che è stato scelto è stato Covid-19: Co e vi per indicare la famiglia dei coronavirus, d per indicare la malattia (disease in inglese) e infine 19 per sottolineare che sia stata scoperta nel 2019. Un nome neutrale che cerca di evitare gli errori del passato (come Mers o Middle East Respiratory Syndrome, influenza suina o influenza aviaria) ma che forse è arrivato un po’ tardi.

 

[12] Un glossario per capire l’epidemia del nuovo coronavirus

Ecco un glossario dei termini essenziali per capire l'evoluzione dell'epidemia di Covid-19, la malattia provocata dal nuovo coronavirus

I dati sul contagio in Italia si aggiornano di ora in ora, ma sappiamo leggere il significato dei bollettini, delle circolari del ministero della Salute e in generale delle comunicazioni sull’andamento dell’epidemia di Covid-19? Ecco un glossario essenziale che può aiutarci a decifrare i messaggi.

Caso confermato

Stando alla circolare del 23 febbraio del ministero della Salute, è “un caso con una conferma di laboratorio effettuata presso il laboratorio di riferimento dell’Istituto Superiore di Sanità per infezione da Sars-Cov-2, indipendentemente dai segni e dai sintomi clinici”.

Caso probabile

Sempre, “un caso sospetto il cui risultato del test per Sars-Cov-2 è dubbio o inconcludente utilizzando protocolli specifici di Real Time Pcr per Sars-Cov-2 presso i Laboratori di riferimento regionali individuati o è positivo utilizzando un test pan-coronavirus”.

Caso sospetto

Il ministero della Salute definisce caso sospetto “una persona con infezione respiratoria acuta (insorgenza improvvisa di almeno uno dei seguenti sintomi: febbre, tosse, dispnea) che ha richiesto o meno il ricovero in ospedale e nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia, ha soddisfatto almeno una delle seguenti condizioni: storia di viaggi o residenza in Cina;  oppure contatto stretto con un caso probabile o confermato di infezione da Sars-Cov-2; oppure ha lavorato o ha frequentato una struttura sanitaria dove sono stati ricoverati pazienti con infezione da Sars-Cov-2″.

Covid-19

È il nome ufficiale della malattia provocata dall’infezione di Sars-Cov-2, attribuito dall’Oms. “Co” sta per corona, “vi” per virus e “d” per disease (cioè malattia in inglese), mentre “19” indica l’anno in cui si è manifestata.

Infettività

Indica la capacità di un patogeno di stabilire una nuova infezione per trasmissione orizzontale diretta o indiretta, che significa che passa da un individuo infetto a un altro attraverso contatto diretto o tramite un vettore. Risponde alla domanda con quale facilità si trasmette da individuo a individuo? e si misura in termini di microrganismi necessari perché si instauri una nuova infezione. L’infettività, cioè, sarà tanto più alta quanto più basso è il numero di microrganismi che servono a infettare un altro individuo, e viceversa.

Letalità

Questo termine indica il rapporto tra il numero dei decessi causati da una malattia e quello dei malati in certo lasso di tempo. Sebbene venga spesso usato come sinonimo di mortalità, i due parametri danno informazioni diverse. I dati disponibili al momento sono frutto di stime, suscettibili di cambiamenti nel corso del tempo in base a come evolverà l’epidemia. Al momento l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) stima che la letalità sia del 2%.

Mortalità

Misura il numero di decessi (in generale o per una determinata causa) in rapporto alla popolazione esposta in un certo lasso di tempo. Per questo fornisce un’informazione sul rischio che un patogeno come Sars-Cov-2 comporta per tutta la popolazione.

Quarantena

È il periodo di isolamento e di osservazione previsto per le persone che sono state potenzialmente esposte al patogeno. Nel caso di Sars-Cov-2 in Italia è stato stabilito un periodo di quarantena di due settimane. Il termine ricorda la sua origine, quando questo periodo di segregazione corrispondeva a 40 giorni. Oggi la durata della quarantena è decisa dalle autorità sanitarie in base alle conoscenze dei tempi di incubazione della malattia e delle potenzialità di trasmissione del virus.

Sars-Cov-2

È il nome del nuovo coronavirus emerso per la prima volta in Cina a fine gennaio. All’inizio dell’epidemia era chiamato 2019-nCov, ma poi l’International Committee on Taxonomy of Viruses lo ha ribattezzato nell’attuale Sars-Cov-2 per sottolineare la parentela con il coronavirus responsabile della Sars (Sars-Cov, con cui condivide all’incirca l’80% del genoma) e l’affinità delle manifestazioni cliniche delle due infezioni (Covid-19 e Sars, appunto).

Stabilità

Indica il periodo di tempo in cui il patogeno rimane infettivo fuori dall’ospite (sulle superfici per esempio). Come riportato nelle Faq del Ministero della Salute “le informazioni preliminari suggeriscono che il virus possa sopravvivere alcune ore, anche se è ancora in fase di studio. L’utilizzo di semplici disinfettanti è in grado di uccidere il virus annullando la sua capacità di infettare le persone, per esempio disinfettanti contenenti alcol (etanolo) al 75% o a base di cloro all’1% (candeggina)”.

Test del tampone

È il primo esame che gli operatori sanitari eseguono su persone a rischio (per esempio sugli italiani rimpatriati dai luoghi in cui si è sviluppata l’epidemia) e sui casi sospetti. Consiste nel prelievo di materiale biologico dalle vie respiratorie tramite un tampone faringeo, ossia un bastoncino cotonato che raccoglie muco e saliva. I campioni vengono spediti nei laboratori autorizzati all’analisi (in Italia sono quelli dell’Istituto Spallanzani a Roma e dell’Ospedale Sacco a Milano), dove, attraverso tecniche di biologia molecolare, si cerca il materiale genetico virale. Se questo è presente, viene amplificato, cioè copiato innumerevoli volte, per renderlo rilevabile e disponibile per l’identificazione. L’essere umano, infatti, viene a contatto ogni giorno con tanti virus diversi (primo fra tutti in questo periodo il virus dell’influenza stagionale) ed è necessario controllare che ci siano specifiche sequenze per accertare che si tratti di Sars-Cov-2. I risultati di questo tipo di test arrivano in poche ore.

Test immunoenzimatico

È il termine tecnico con cui si indica l’esame che individua nel siero (cioè nella parte liquida del sangue) l’eventuale presenza di anticorpi specifici contro un certo patogeno. In genere questi test sfruttano il meccanismo chiave-serratura della coppia anticorpo-antigene (che, semplificando, è una parte del patogeno): se si vuole testare la presenza dell’anticorpo nel siero si introduce nel campione il suo antigene legato a una molecola che, attraverso una reazione enzimatica, renderà evidente il legame tra i due.

Virulenza

Si riferisce all’abilità di un patogeno che ha infettato un organismo di dare origine a una malattia conclamata. Come riportato dall’Oms, “la maggior parte (80%) delle persone guarisce dalla malattia senza bisogno di particolari trattamenti. Circa 1 persona su 6 che contrae Covid-19 sviluppa invece sintomi gravi con difficoltà respiratoria. Le persone anziane e coloro che soffrono di problematiche pregresse come pressione alta, disturbi cardiovascolari o diabete, sono più a rischio di sviluppare la forma severa della malattia. Circa il 2% delle persone che sviluppano la malattia muore”.

 

[13] Come informarsi (e informare) sul coronavirus

Dalle fonti ufficiali ai paper scientifici, prestando attenzione a giornali e social network, una rassegna dei luoghi della rete dove aggiornarsi su 2019-nCov. A quali informazioni prestare attenzione? Quali sono gli indizi di scarsa affidabilità? Ecco qualche strumento per orientarsi

Sui giornali gli articoli sul coronavirus. Sui social i post sul coronavirus. In tv i servizi sul coronavirus. Ovunque gli speciali sul coronavirus. Non si può certo dire che i media – giornalistici o meno che siano – abbiano ignorato l’epidemia di 2019-nCov, ma anzi negli ultimi giorni si è creata una bulimia informativa (o infodemia) che ci espone a continue informazioni e aggiornamenti non appena apriamo un giornale, prendiamo in mano lo smartphone o accendiamo radio o televisione.

In questo dedalo di canali e di fonti, che a seconda dei casi hanno dimostrato più o meno attendibilità, è facile perdersi. O confondersi. Tra la smania di urlare al mondo l’ultimo presunto scoop prima di chiunque altro e la necessaria incertezza che in queste giornate caratterizza anche l’attività di medici e scienziati, percepire contraddizioni, cadere vittima di fraintendimenti e farsi pigliare per il naso da qualche bufala è più che probabile.

Certo, si potrebbero additare come presunti colpevoli tantissime categorie, dai viralizzatori seriali da social ai giornalisti grossolani e fino agli scienziati poco abituati a occuparsi di comunicazione del rischio. Ma forse è più saggio cercare anzitutto di discriminare tra informazioni attendibili e sparate campate in aria, tra fonti autorevoli e chiacchiere da bar, cercando di confinare la cattiva informazione al rango di urla nel deserto.

Va detto, in ogni caso, che nel contesto nebbioso in cui attualmente ci troviamo (sia in termini di informazioni sul coronavirus e sull’epidemia, sia per le previsioni di ciò che potrebbe accadere) le parole d’ordine dovrebbero essere cautela, pacatezza ed equilibrio, tanto nella scelta dei termini quanto nell’indicazione delle stime numeriche. Atteggiamenti che, dalla bacheca di Facebook ai titoli di giornale e alle chiacchiere da metropolitana, sembrano essere merce rara.

Ma quindi, dove informarsi?

Il consiglio numero uno non può che essere di consultare le fonti primarie dell’informazione, o di dare fiducia a chi ha dimostrato di saper trasformare fedelmente le informazioni ufficiali in prodotti giornalistici o divulgativi di qualità. Il portale epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità, Epicentro, ha un’intera sezione dedicata agli aggiornamenti sul contagio e a quel che sappiamo di 2019-nCov. Lo stesso (in inglese e in altre lingue, ma non in italiano) sta facendo l’Organizzazione mondiale della sanità, con sezioni dedicate agli aggiornamenti, al debunking e alle domande più frequenti. Anche il Ministero della salute ha attivato una sezione Nuovo coronavirus, e per chi ha più dimestichezza con la letteratura scientifica c’è la possibilità di consultare su PubMed gli ultimi paper a tema coronavirus. Infine, in termini statistici è molto utile la mappa, in continuo aggiornamento, della Johns Hopkins University & Medicine.

Naturalmente non finisce qui: sempre in inglese, e per chi è interessato alla parte più prettamente scientifica, ci sono ad esempio due interessanti sezioni nei portali online di Science e Nature, così come su molte altre riviste specialistiche.

Poco sensato, invece, proporre una netta separazione in termini di affidabilità tra testate giornalistiche e social network. Le testate, che come ha ricordato l’Ordine dei giornalisti dovrebbero sempre basarsi sul criterio della verifica delle fonti e dell’evitare i titoli strillati, hanno più volte negli ultimi giorni rilanciato inutili allarmismi, imprecisioni grossolane e vere e proprie fake news. E sui social, da Twitter a Fecebook e Instagram, c’è chi sta offrendo un ottimo servizio di informazione, sia quando si tratta dei canali ufficiali delle istituzioni sia nel caso di giornalisti e divulgatori scientifici dediti a pubblicare e ricondividere contenuti dai propri canali personali. Esistono anche liste di profili ufficiali (o comunque affidabili) da seguire.

Naturalmente è vero anche il contrario, ossia che ci sono giornali capaci di fare ottima informazione, e una pletora di leoni da tastiera che rilanciano in rete qualsivoglia panzana. Pure gli stessi scienziati a volte hanno sbagliato, come nel caso dello studio sulla trasmissione asintomatica rivelatosi errato, a testimonianza di quanto la situazione sia complessa e in continua evoluzione. In generale andrebbe tenuta a mente la distinzione tra informazioni confermate e sentito dire, così come tra conoscenze preliminari e informazioni assodate. E pure gli esponenti politici, forse in nome di chissà quale corsa a salire sul carro dei vincitori o al dare contro all’avversario di turno, hanno dimostrato sui social un’affidabilità in generale decisamente scarsa.

Quali informazioni cercare in caso di epidemia

Altro grande equivoco che si rischia di creare in situazioni come quella attuale è il concentrarsi su informazioni tutto sommato poco utili, perdendo di vista gli aspetti che meritano più attenzione. Senza nemmeno commentare sessismo e superficialità con cui è stata data la notizia dell’isolamento del coronavirus anche in Italia, spesso la principale distorsione informativa è che ci si concentra sul sensazionalismo anziché sulle notizie rilevanti. Il decorso della malattia di un singolo paziente, il volo di rientro degli italiani che erano rimasti a Wuhan, il diciassettenne trattenuto in Cina perché febbricitante e articoli come il “dove sono stati i due cinesi affetti dal virus” sono solo alcuni esempi di come la comunicazione si avvicini più al gossip che a un servizio di informazione, talvolta sfociata anche in indebite violazioni della privacy.

Naturalmente è importante restare aggiornati sulle cifre e sulla distribuzione geografica dei contagiati, sulle eventuali allerte diramate dagli organi competenti e sulle novità relative a blocchi, permessi e provvedimenti. Ma soprattutto può essere utile sapere come comportarsi se l’epidemia raggiungesse anche il nostro Paese (per ora, pochi casi non fanno certo un’epidemia), quali azioni compiere per proteggere se stessi e gli altri dal contagio e come riconoscere e gestire i sintomi legati alla malattia. Gli aggiornamenti scientifici riguardo al coronavirus – dall’isolamento al sequenziamento del suo rna ai tentativi di sviluppare farmaci antivirali e vaccini – sono certamente fondamentali sul lungo periodo, ma all’atto pratico della quotidianità hanno una ricaduta quasi nulla, se parliamo dei non addetti ai lavori.

Cosa non scrivere, a parole

L’elenco delle brutture giornalistiche e comunicative lette e sentite in questi giorni sarebbe parecchio lungo, tanto che ci possiamo limitare a ricapitolare le pratiche discutibili distinguendole per tipologia.

Un primo tema riguarda l’uso di tutte le parole che fanno riferimento all’area semantica relativa alla Cina. Nonostante a livello di contenuti tutto possa essere ineccepibile, infatti, la comunicazione dovrebbe tenere in considerazione pure come i destinatari creino propri significati ulteriori dalle informazioni che ricevono. Definire il virus come un coronavirus cinese, i due casi italiani di contagio come i due cinesi (e così via) sta alimentando una crescente sinofobia, al momento del tutto irragionevole in Italia visto che il numero di casi è fermo a 2.

Al secondo posto ci sono gli al-lupo-al-lupo e le enfatizzazioni:

termini come allarme, panico e emergenza andrebbero centellinati o perlomeno spiegati dettagliatamente, perché lasciano intendere un livello di drammaticità sproporzionato rispetto a quanto stia accadendo, almeno in Italia. Questo non vuol dire negare il problema, ma affrontarlo con pacatezza e razionalità.

Forse meno impattanti sulla percezione generale, ma strambi da leggere e indicatori di scarsa qualità comunicativa sono poi gli strafalcioni scientifici. Confusione tra virus e batteri quando si parla di antibiotici, strane promesse sull’arrivo imminente di cure basate su previsioni irragionevolmente ottimiste e presunte conoscenze scientifiche date per assodate quando sono ancora al vaglio della comunità degli scienziati sono esempi di informazioni che nulla hanno a che fare con il metodo scientifico e le basi delle discipline sanitarie. Qualche esempio di studi in divenire? La trasmissione asintomatica del virus, le ricadute pratiche del sequenziamento del virus e l’efficacia delle mascherine sulla popolazione generale.

Cosa non scrivere, in cifre

Quella della quantificazione numerica dei rischi è tutt’ora una questione non risolta, dunque non esiste in assoluto un giusto e uno sbagliato ma solo una serie di criteri generalmente ritenuti buone linee guida sull’impostazione di una comunicazione equilibrata. Il primo passo, naturalmente, è fornire solo numeri giusti o intervalli numerici fedeli alla realtà dei fatti, perché l’idea stessa di dare quantificazioni implica che ci sia una certa accuratezza in ciò che si comunica. Piuttosto che fornire una valutazione numerica sbagliata, o un range di incertezza enorme, tanto vale astenersi dal fornire cifre e ammettere quello che non si sa.

Si leggono in questi giorni stime ufficiali del numero di contagiati e di vittime, accanto a cui poi vengono fornite stime correttive – basate sui presunti casi non registrati – che però rendono tutto così grossolano da essere sostanzialmente inutile. Alcuni dicono che i casi reali sono il doppio di quelli accertati (dunque 40mila), chi 10 volte tanto (quindi 200mila) e chi 20 (quindi 400mila), facendo somigliare le stime più a una lotteria e ottenendo un risultato ben più confuso di un generico “i casi reali sono molti di più di quelli accertati, ma proprio perché parliamo di casi fantasma non sappiamo quanti siano”.

Altrettanto vale per il tasso di letalità del coronavirus. Al momento, infatti, è presto per fare delle stime percentuali accurate, tanto che si leggono valori che oscillano tra il 4% e lo 0,1%, ossia con una forbice gigantesca tra il limite superiore e inferiore. I numeri più tonanti in assoluto sono quelli che riguardano le previsioni sulla diffusione del virus. Accanto a simulazioni epidemiche basate su modelli matematici, si leggono previsioni di “milioni di morti” o addirittura con numeri più precisi (“65 milioni di morti”), a metà tra la previsione campata in aria e la vera e propria bufala.

Un po’ come nel caso di una calamità naturale o di un attentato terroristico, infine, sarebbe sempre opportuno distinguere chiaramente tra dati reali e dati stimati, tra ciò che è stato accertato e verificato rispetto alle informazioni basate su supposizioni, estrapolazioni o calcoli teorici. Evitando anche, nel goffo tentativo di quantificare anche ciò che non può essere quantificato, di definire delle disuguaglianze rispetto ad altre situazioni: “Meno della Sars e più dell’influenza H1N1”, si legge spesso in questi giorni.

 

 

[14] Perché l'Oms non dichiara la pandemia per il nuovo coronavirus

Secondo l'Oms non è ancora arrivato il momento di dichiarare la pandemia. Sebbene il rischio di diffusione del coronavirus sia passato a “molto alto”, dobbiamo concentrare tutti gli sforzi sul contenimento

In tutto il mondo, il numero di persone contagiate dal nuovo coronavirus (Sars-CoV-2) supera oggi i 90mila casi e dall’inizio dell’epidemia, oltre 3mila persone sono decedute a causa della malattia respiratoria Covid-19 e oltre 48mila sono guariti. La stragrande maggioranza dei casi si è verificata in Cina, ma altri 60 Paesi nel mondo stanno ora affrontando un aumento del numero di contagi, soprattutto in Corea del sud, Italia e Iran dove oggi si registrano i più grandi focolai al di fuori della Cina. E sebbene in molti si stiano preparando al peggio, l’Organizzazione della sanità (Oms) non ha ancora dichiarato la pandemia. Ma perché?

Livello di allerta “molto alto”

In un nuovo rapporto, l’Oms ha annunciato di aver innalzato l’allerta globale per la Covid-19 al livello più alto possibile, senza, tuttavia, dichiarare ancora la pandemia. Basandosi sul numero di casi di contagio e sulle aree colpite dalla Covid-19, infatti, gli epidemiologi dell’Oms hanno aumentato il rischio globale di diffusione e l’impatto sulla società del nuovo coronavirus da “alto” a “molto alto”. Tuttavia, la maggior parte dei casi, secondo il nuovo rapporto, sono collegati e possono ancora essere rintracciati i contatti o i cluster. In altre parole, non ci sono ancora le prove che il virus si diffonda liberamente tra le comunità. “Finché è così abbiamo ancora la possibilità di contenere questo virus, se vengono intraprese solide azioni per rilevare i casi in anticipo, isolare e curare i pazienti e rintracciare i contatti”, ha spiegato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.

L’Oms non dichiara la pandemia

L’organizzazione, quindi, rimanda ancora una volta la pandemia. Una decisione del genere, spiega Mike Ryan, direttore del programma per le emergenze dell’Oms, significherebbe che gli sforzi e le strategie per contenere e rallentare la diffusione del coronavirus sono falliti. Ma in Cina, per esempio, non è stato così: “ha organizzato lo sforzo di contenimento più ambizioso, veloce e aggressivo della storia contro una nuova malattia infettiva”, ha affermato l’Oms. Analizzando i dati dell’epidemia in Cina, infatti, il nuovo rapporto evidenzia che i casi di contagio stanno diminuendo al punto che le autorità hanno ora problemi nel reclutare pazienti per gli oltre 80 studi clinici che si stanno svolgendo per testare nuovi potenziali trattamenti contro il coronavirus.

Le misure della Cina

Dall’analisi, inoltre, è emerso che 104 ceppi del coronavirus, raccolti tra dicembre 2019 e metà febbraio 2020, sono simili al 99,9%, e ciò significa che il virus non sta mutando. L’età media delle persone contagiate è di 51 anni e la maggior parte dei contagi è avvenuto all’interno di ospedali, carceri o famiglie, il che implica che è necessario uno stretto contatto affinché il virus si diffonda tra le persone. Nel rapporto, inoltre, l’Oms attribuisce alla Cina l’abilità di aver gestito l’epidemia grazie a una serie di misure intraprese, tra cui quella di mettere a disposizione 1.800 gruppi di epidemiologi che hanno rapidamente rintracciato decine di migliaia di contatti di persone infette dal virus nella provincia cinese di Hubei, dove si trova la città di Wuhan, focolaio dell’epidemia. Di tutti i contatti rintracciati, solo il 5% si è ammalato ed è stato prontamente diagnosticato. Inoltre, Il blocco dei viaggi fuori da Hubei, una misura senza precedenti in una provincia di queste dimensioni, precisa l’Oms, ha contribuito ad arrestare una ancora più ampia diffusione del coronavirus tra i cittadini cinesi.

Pandemia o no?

Tuttavia, non tutti sono d’accordo. Secondo Adam Kamradt-Scott, esperto di sicurezza sanitaria dell’Università di Sydney, l’Oms continua a sperare che il coronavirus possa essere contenuto, ma probabilmente abbiamo già superato questa soglia. Alcuni Paesi hanno, infatti, già iniziato a preparare le loro strategie per la potenziale pandemia, aggiunge Nigel McMillan, infettivologo della Griffith University di Brisbane, secondo cui l’Oms sarebbe troppo cauta nel non dichiarare una pandemia.

Dall’Oms, però, sono stati abbastanza chiari. Sebbene l’epidemia da coronavirus abbia il potenziale per diventare una pandemia, dal nuovo rapporto è emerso che non è ancora arrivato il momento. “Ciò che vediamo sono epidemie in diverse parti del mondo, che colpiscono i Paesi in modi diversi e che richiedono una risposta su misura. L’improvviso aumento di nuovi casi è certamente molto preoccupante. Ma bisogna parlare costantemente della necessità di azioni, non di paura e l’uso della parola pandemia ora può certamente generarla”, spiega il direttore generale dell’Oms. “Questo non è il momento di concentrarci su quale parola usare. Questo è il momento in cui tutti i Paesi, comunità, famiglie e cittadini devono concentrarsi sul contenimento, mentre facciamo tutto il possibile per prepararci a una potenziale pandemia”.

 

[15] Cosa racconta davvero il primo caso di nuovo coronavirus in Germania

Prima di parlare di origine tedesca dei focolai europei e di legami con i casi italiani, si devono fare ulteriori ricerche. Il vero punto, in questo caso, riguarda le modalità di trasmissione

Quando è arrivato il coronavirus in Europa? Se una risposta certa è impossibile darla, il primo caso notificato nel Vecchio continente risale al 24 gennaio, in Francia, ed è quello di un paziente con una storia di viaggio di Cina. Così riporta l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc). Oggi sulle pagine del New England Journal of Medicine alcuni ricercatori e medici tedeschi descrivono un caso di trasmissione europea di coronavirus, non di importazione dunque, contemporaneo. Nello stesso giorno in cui la Francia segnalava il primo caso europeo, un uomo di 33 anni tedesco si ammalava con i sintomi ben noti associati a Covid-19: mal di gola, freddo, mialgie, febbre alta. Anche se le prime analisi del patrimonio genetico di questo ceppo suggeriscono che sia l’origine di diversi altri focolai, compreso quello italiano, si tratta di risultati ancora non definitivi e che devono essere presi con cautela.

Ricostruendo la storia del possibile contagio, i ricercatori hanno fatto risalire quello tedesco all’incontro a un meeting con una collega proveniente da Shanghai nei giorni precedenti, asintomatica su suolo europeo per poi sviluppare i sintomi nel viaggio di ritorno, e risultare positiva al coronavirus. La comunicazione della positività al virus il 27 gennaio 2020 ha innescato quindi le procedure di contact tracing che hanno permesso di diagnosticare l’infezione nel collega e in altre tre persone, una sola delle quali aveva avuto contatti con la collega di Shanghai.

Il racconto del caso di contagio tedesco avvenuto in Germania (verosimilmente lo stesso di cui si era parlato già a fine gennaio come primo caso di trasmissione europea) è degno di nota perché: “l’infezione sembra essersi trasmessa durante il periodo di incubazione del paziente, con malattia breve e non specifici” – scrivono gli autori – “il fatto che persone asintomatiche siano potenziali fonti di infezioni da coronavirus potrebbe giustificare una rivalutazione delle dinamiche di trasmissione dell’attuale epidemia”. Al momento infatti, come riferiscono dall’Oms, la principale via di trasmissione del virus è attraverso goccioline emesse attraverso la tosse e il rischio di prendere la malattia da persone asintomatiche è piuttosto basso. “Comunque, molte persone con Covid-19 hanno solo sintomi lievi” – continuano sempre dall’Oms – “questo è particolarmente vero per nei primi stadi di malattia. È perciò possibile prendere Covid-19 da qualcuno che ha avuto, per esempio, solo una tosse lieve e non ha percepito di essere ammalato”.

Ma non solo, proseguono gli esperti sul Nejm: a destare preoccupazione è anche la rivelazione di un’alta carica virale nell’espettorato del paziente uno, dopo però che questo si era ripreso, sebbene non sia chiaro quanto questi virus fossero o meno attivi.

Il caso tedesco però potrebbe raccontare anche altro. Secondo quanto riferisce su Twitter Trevor Bedford, scienziato del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e co-sviluppatore della piattaforma Netxstrain, l’analisi dei virus sequenziati suggerisce che il caso del focolaio tedesco possa aver alimentato diversi altri focolai, compresi quelli italiani.

Anche se lo stesso Bedford ammette come non ci sia nulla di definitivo, e che per i casi lombardi, per esempio, ci possa essere stata un’introduzione distinta.

 

[16] Le nuove misure decise dal governo italiano per combattere il coronavirus

La decisione del governo ufficiale nel pomeriggio: scuole e università chiuse fino al 15 marzo, con particolari precauzioni nelle interazioni sociali. La prossima settimana potrebbe arrivare un nuovo decreto

È ufficiale: il governo ha dato il via libera alla chiusura di scuole e università in tutta Italia fino al 15 marzo, come ulteriore misura per contrastare la diffusione del coronavirus. La decisione è arrivata nel vertice di questa mattina tenutosi a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte e i suoi ministri, al fine vagliare la possibilità di adottare nuovi provvedimenti per contrastare il dilagare dell’epidemia nel paese. Il provvedimento ha passato l’esame del comitato tecnico-scientifico, così come riferito dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina: “Abbiamo chiesto una valutazione della misura al comitato perché ne verificasse la proporzionalità rispetto allo scenario epidemiologico del paese in questo momento”.

Lo stop alle attività scolastiche e accademiche per le prossime due settimane arriva due giorni dopo la pubblicazione dell’ultimo decreto d’emergenza sul coronavirus, che aveva visto l’Italia divisa in tre macro aree in base al numero e alla gravità dei contagi, più altre regole di condotta sanitaria e sociale per evitare grandi aggregazioni di persone in un unico luogo.

Il nuovo decreto

Il governo valuta quotidianamente nuove misure contenitive, lavorando a stretto contatto con il comitato scientifico. Proprio per questo è stato pubblicato un nuovo decreto della presidenza del consiglio che raccoglie le indicazioni del comitato, arrivate ieri al governo. Per quanto riguarda gli altri provvedimenti relativi all’ambito scolastico, sono sospesi i viaggi d’istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche e le assenze degli studenti che non possono seguire, per qualsiasi motivo, lezioni a distanza non sono calcolate in vista dell’eventuale ammissione a esami finali. Tutte le altre nuove misure sono: stop a eventi pubblici, congressi e manifestazioni fino al 20 marzo; le competizioni sportive si svolgeranno solo a porte chiuse; evitare abbracci e strette di mano e starnutire o tossire in un fazzoletto; mantenere una distanza di almeno un metro da altre persone (questo vale soprattutto per i locali, ristoranti, cinema e teatri che devono rispettare questa soglia di sicurezza); meglio rimanere in casa anche se si ha soltanto un po’ di febbre e non c’è alcun sospetto di aver contratto la malattia; chi ha più di 75 anni o chi ha più di 65 ma è malato non deve frequentare luoghi affollati; divieto di accompagnare persone nei pronto soccorso; palestre e piscina rimangono aperte, ma nel rispetto delle norme igieniche e delle misure di prevenzione dal contagio.

 

[17] Coronavirus: sono 2.706 i positivi

Presso la sede del Dipartimento della Protezione Civile proseguono i lavori del Comitato Operativo al fine di assicurare il coordinamento degli interventi delle componenti e delle strutture operative del Servizio Nazionale della protezione civile.  Nell’ambito del monitoraggio sanitario relativo alla diffusione del Coronavirus sul territorio nazionale, al momento 2.706 persone risultano positive al virus. Ad oggi, in Italia sono stati 3.089 i casi totali.

Nel dettaglio: i casi attualmente positivi sono in Lombardia sono 1.497, 516 in Emilia-Romagna, 345 in Veneto, 82 in Piemonte, 80 nelle Marche, 31 in Campania, 21 in Liguria, 37 in Toscana, 27 nel Lazio, 18 in Friuli Venezia Giulia, 16 in Sicilia, 7 in Puglia e 7 in Abruzzo, 5 nella Provincia autonoma di Trento, 3 in Molise, 9 in Umbria, 1 nella Provincia autonoma di Bolzano, 1 in Calabria, 2 in Sardegna e 1 in Basilicata.

Sono 276 le persone guarite. I deceduti sono 107, questo numero, però, potrà essere confermato solo dopo che l’Istituto Superiore di Sanità avrà stabilito la causa effettiva del decesso.

 

[18] Perché i giornali avrebbero dovuto aspettare a pubblicare la notizia del decreto sul coronavirus

La bozza di decreto che chiude la Lombardia è stata pubblicata dai giornali in maniera avventata, creando scompiglio. Era davvero necessario?

Alla fine la firma è arrivata. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato il decreto che prevede l’isolamento della Lombardia e di altre 14 province, con una forte limitazione degli spostamenti, per evitare un’ulteriore diffusione del nuovo coronavirus. Una decisione tutt’altro che inaspettata, visto che sui giornali la notizia della chiusura ha iniziato a girare parecchie ore prima della sua ufficialità, avvenuta nella notte tra 7 e 8 marzo, creando nei cittadini sconcerto, confusione e in alcuni casi panico, con la fuga di persone che non volevano restare bloccate nelle aree colpite.

Nella foga di pubblicare e attirare lettori spaventati sulle proprie pagine, da contare in quello che sarà un ottimo mese di marzo, tutti i principali quotidiani italiani hanno riportato la bozza di decreto fuoriuscita (ovviamente) da fonti interne allo stesso governo. Questo impone una riflessione sulla nostra professione di giornalisti: non c’è dubbio che la bozza fosse una notizia. Si tratta di un evento straordinario, nuovo e importante: su questo non c’è alcun dubbio. E forse non si tratta neanche di avere l’onere di dare una notizia che crea panico: questo purtroppo rischiamo di farlo tutti i giorni, per questo dovremmo pesare le parole, attenerci ai fatti e presentarli nel modo più comprensibile.

In questo caso si tratta invece di prendersi la responsabilità di divulgare una notizia che è provvisoria. Quella bozza era ancora in lavorazione, un’informazione che all’inizio non era neanche ben segnalata dai giornali e che dai lettori è stata presa come notizia certa e chiara: Milano e la Lombardia sono in quarantena. E chi aveva paura di rimanere bloccato (per ragioni più o meno valide) ha deciso di partire in tutta fretta, rendendo meno efficace quel principio di precauzione sugli spostamenti su cui si basa il decreto stesso. Meno ci si sposta, meno si diffonde il coronavirus. Più che pensare al bene comune, si è pensato al bene personale. E dire che nella versione definitiva del decreto non si parla di un divieto assoluto, ma piuttosto di esigenze comprovate legate al lavoro, situazioni di emergenza o motivi di salute validi per allontanarsi dalla Regione. Con tutta la confusione che questo comporta, ma questa è un’altra storia.

Che fare dunque? Nell’era della velocità e dei social network, sarebbe bastato aspettare. Attendere una firma stranamente avvenuta nel cuore della notte, da parte di un governo (o della Regione Lombardia, dice la Cnn) che ha lasciato che una bozza integrale di decreto arrivasse assurdamente ai giornalisti, i quali a loro volta hanno irresponsabilmente pubblicato la notizia di un documento non definitivo. Una fretta che non ha giovato davvero a nessuno, se non ai clic accumulati in una notte di ordinaria follia.

 

 

[19] Cosa si può fare e cosa no con il nuovo decreto sul coronavirus

Sono state estese, da questa mattina, tutte le misure prese per le zone rosse. Sono, quindi, limitati gli spostamenti e vengono sospese tutte quelle attività che richiedono assembramenti di persone. Ecco le attività consentite

È in vigore da questa mattina, martedì 10 marzo, il nuovo decreto della presidenza del consiglio che, di fatto, estende a tutta l’Italia le misure di contenimento del virus di quello precedente, approvato l’8 marzo. Da oggi, tutto il paese sarà “zona protetta” e non più solo Lombardia e altre 14 province tra Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Marche. Questo comporta una serie di limitazioni negli spostamenti, nel tempo libero e nella gestione delle attività della vita quotidiana.

Il premier Giuseppe Conte, in conferenza stampam ha chiesto a tutti i cittadini di “cambiare le proprie abitudini”. I numeri parlano chiaro: sono aumentate le persone contagiate e anche i decessi quindi, come ha ribadito Conte, di “tempo non ce n’è”.

Cosa sarà possibile fare da oggi fino al 3 aprile, la data in cui, almeno per il momento, rimarranno in vigore le nuove misure?

Posso continuare ad andare a lavoro?

Sì, perché gli spostamenti per motivi lavorativi sono permessi. Ci si potrà, quindi, allontanare dal proprio comune di residenza, compilando il modulo di autocertificazione messo a disposizione dal ministero dell’Interno. A ogni modo, il decreto “raccomanda” l’attivazione delle “modalità di lavoro agile” (o smart working) per tutta la durata dello stato di emergenza e in caso di lavoro subordinato, anche in assenza di accordi precedenti. Qualora non fosse possibile, il lavoratore potrà decidere di usufruire o meno di “periodi di congedo ordinario o di ferie”.

Ho una visita medica prenotata, posso recarmi in ospedale?

I motivi di salute rientrano tra quelli per cui è permesso spostarsi. Quindi se si ha una visita medica o si devono ricevere delle cure urgenti ci si può recare in ospedale. Anche in questo caso vale la regola dell’autocertificazione: bisogna compilare il modulo e presentarlo alle autorità qualora venga richiesto. È buona norma evitare se non c’è urgenza, da un lato per evitare di occupare il personale sanitario impegnato nell’emergenza, dall’altro di aumentare i rischi del contagio. Il proprio medico saprà consigliare di caso in caso.

Cosa s’intende per motivi di necessità, in quali casi posso spostarmi?

L’esempio più classico è quello di recarsi fuori dal proprio comune per l’acquisto di beni di prima necessità. Quindi se ho bisogno di fare la spesa, sempre certificandolo, posso recarmi fuori dal mio comune di residenza. Rientra in questa fattispecie anche chi, trovandosi fuori dalla propria residenza, domicilio o abitazione abbia necessità di ritornarci.

Ho un viaggio prenotato all’estero, posso prendere l’aereo?

Se per motivi di piacere o svago assolutamente no. Gli aeroporti continuano a essere aperti, ma i passeggeri devono osservare alcune regole: se si viaggia per necessità o motivi di salute bisogna compilare e presentare un modulo, fornito dalla Polizia, che attesti le motivazioni; lo stesso per i voli all’estero, ma l’autocertificazione deve essere presentata sia in partenza che all’arrivo; chi viaggia per lavoro deve sempre portare la dichiarazione che spieghi i motivi del viaggio ed esibirla su richiesta dell’autorità competenti. Sulla rete autostradale, infine, sono infine stati disposti dei posti di blocco dei Carabinieri e della Polizia stradale per la richiesta dei moduli.

È necessario recarsi al supermercato per fare scorte, come s’è visto nelle ultime ore?

Assolutamente no perché non c’è alcun rischio che i supermercati rimangano senza viveri. Il trasporto merci – considerato esigenza lavorativa – non subirà alcuna interruzione. Lo stesso vale anche per le farmacie e parafarmacie. L’unica regola che il gestore, in questi casi, deve rispettare è evitare un grande assembramento di persone nel locale. Quando si parla, invece, di strutture di grandi dimensioni, come centri commerciali o mercati, bisogna sottolineare che questi rimarranno chiusi solo nelle giornate festive e prefestive.

Fino a quando rimarranno chiuse le scuole?

Tutte le scuole di ogni ordine e grado rimarranno chiuse fino al 3 aprile. La didattica, però, non si interrompe e vengono promosse, tramite gli strumenti che mette a disposizioni il ministero dell’Istruzione, le lezioni a distanza. Molte, come si è visto in questi giorni, sono state già messe in pratica: dalle sedute di laurea via Skype fino alle lezioni in classi virtuali con Google Hangouts.

Posso andare a cena fuori con gli amici?

I bar o ristoranti possono rimanere aperti solo dalle 6 alle 18, a condizione che venga rispettata la distanza di sicurezza di almeno un metro.

E gli altri esercizi commerciali, come i negozi, rimarranno chiusi?

Tutte le altre attività commerciali rimarranno aperti a patto che venga rispettata la distanza di sicurezza e sia, quindi, evitato un assembramento di persone nello stesso luogo.

Posso andare in palestra, al cinema o al museo in questi giorni?

Non è possibile perché tutte le attività culturali, come cinema e musei, o quelle ricreative come, palestre, piscine e centri di benessere, sono chiuse. È stato anche sospeso il campionato di serie A.

Ho febbre e tosse, come devo comportarmi?

Non ci si può muovere per alcun motivo e bisogna evitare i contatti sociali. La prima cosa da fare è contattare il proprio medico curante o i numeri verdi segnalati dal ministero della Salute.

[20] Coronavirus, Covid-19 è una pandemia. Lo dice l'Oms

L'Organizzazione mondiale della sanità si dice preoccupata dagli allarmanti livelli di contagio, ma anche dalla lentezza delle misure per contenerlo

La fatidica parola è stata pronunciata: pandemia. Così ha definito Covid-19 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) studiando il diffondersi del nuovo coronavirus. L’Organizzazione ha fatto sapere di essere “molto preoccupata sia dai livelli allarmanti di diffusione e gravità, sia dagli allarmanti livelli di inazione”. “Abbiamo suonato la campanella d’allarme forte e chiaro”, ha commentato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus.

E ha dichiarato: “Siamo dunque giunti alla conclusione che Covid-19 possa essere definito come una pandemia”. Con 118mila casi in 114 paesi e con quelli fuori dalla Cina aumentati di 13 volte nelle scorse due settimane, il coronavirus per l’Oms è un’emergenza da fronteggiare con misure urgenti e aggressive. Per Ghebreyesus la situazione attuale descritta da molti stati, che censiscono pochi episodi, non “racconta tutta la verità”, visto che il 90% dei contagiati si concentra in 4 paesi, tra cui l’Italia, di cui il numero dell’Oms loda le misure di contenimento.

Per Ghebreyesus se le nazioni effettuano controlli, esami, tracciano le persone e le mobilitano nella prevenzione, quelle che hanno un numero di casi ancora gestibile potranno evitare la diffusione su larga scala e quindi l’adozione di contromisure più pesanti.

Questa non è solo una crisi di salute pubblica, è una crisi che tocca ogni settore, quindi ogni settore e ogni individuo deve essere coinvolto in questa lotta.

Cos’è una pandemia

Ma cosa significa pandemia? Partiamo dall’inizio: un’epidemia viene definita tale nel momento in cui all’interno di una popolazione circoscritta il numero di persone colpite da una certa malattia supera di molto la sua incidenza media (facendo un esempio estremo, un singolo caso di vaiolo, il cui virus è stato dichiarato eradicato, è tecnicamente un’epidemia). Ciò che distingue una pandemia da una semplice epidemia, invece, è la dimensione della popolazione colpita dalla malattia e la diffusione rapida di questa per il globo.

Il sito dell’Organizzazione mondiale della sanità chiarisce ulteriormente le idee ponendo l’accento sul fatto che una pandemia riguarda solo malattie infettive, cioè scatenate da un agente patogeno (il cancro non è una pandemia, nonostante sia ampiamente diffuso in tutto il mondo) per le quali l’essere umano non ha immunità preesistenti. Cruciale è la rapidità con cui il patogeno è in grado di diffondersi.

Prepararsi alle pandemie

Proprio per questo l’Oms e la Banca Mondiale hanno creato il Global Preparedness Monitoring Board (Gpmb), una commissione indipendente di 15 esperti internazionali che ha lo scopo di monitorare la situazione mondiale e stilare raccomandazioni, strategie per prepararci ad affrontare la prossima pandemia.

Il primo report del Gpmb, pubblicato a ottobre dello scorso anno, dipinge un quadro non proprio roseo, segnalando tutte le debolezze dei sistemi dei singoli paesi e delle reti globali per la tutela della salute pubblica. Ma traccia anche i consigli esecutivi più urgenti che i governi dovrebbero attuare per rispondere in maniera efficiente all’insorgere di una nuova pandemia.

Riassumendo, ogni paese dovrebbe investire di più in sanità pubblica e prevedere una copertura sanitaria per tutti. I membri di organizzazioni come il G7 o il G20 dovrebbero dare il buon esempio realizzando gli impegni politici e monitorando i progressi. Tutti i paesi dovrebbero rinforzare i propri sistemi, individuando figure ad hoc investite di autorità e responsabilità politica per condurre simulazioni e allo stesso tempo ampliare il coinvolgimento di tutti gli stakeholder (dai legislatori a chi si occupa di salute umana e animale, dai responsabili della sicurezza e degli affari esteri fino ai semplici cittadini).

Servono anche più investimenti per lo sviluppo di processi efficienti di produzione di vaccini e antivirali ad ampio spettro su larga scala. La commissione non manca di sottolineare che alle pandemie sono connessi anche rischi economici ingenti, a cui enti come la Banca Mondiale o il Fondo monetario internazionale devono prepararsi. Non esiste poi la protezione nazionale quando si parla di pandemie: più sono i paesi vulnerabili maggiori sono i rischi per tutti. Per questo il Gpmb raccomanda di creare incentivi e aumentare i finanziamenti internazionali agli stati più poveri, per creare un sistema efficace di risposta all’emergenza sanitaria. Ultimo ma non ultimo, essenziale è lo sviluppo della collaborazione internazionale, la condivisione trasparente e immediata delle informazioni su qualunque nuovo agente patogeno potenzialmente pericoloso per la salute umana.

Per Ghebreyesus sono quattro le contromisure da prendere: “Prepararsi e farsi trovare pronti”, “Indagare, proteggere e intervenire”, “Ridurre la trasmissione”, “Innovare e imparare”.

 

[21] Il nuovo coronavirus è pandemia. E il resto dell’Europa sta facendo ben poco

La dichiarazione di pandemia dell’Oms è un appello alle altre nazioni a prendere più seriamente la minaccia di Sars-Cov-2 e avviare serie misure di contenimento e mitigazione

Non è un problema solo italiano. Il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 è in Europa. I numeri dicono che l’epidemia in Francia, Germania e Spagna è solo di una settimana-dieci giorni in ritardo rispetto alla situazione italiana. Eppure i Paesi dell’Unione sembrano volerlo ignorare. Per questo la decisione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di dichiarare ufficialmente la pandemia può essere letta come l’ennesimo avvertimento al mondo a intraprendere misure di contenimento e mitigazione severe, altrimenti la corsa del virus non rallenterà.

Pandemia è un avvertimento

Se per il nostro Paese non cambia nulla ai fini pratici, il riconoscimento ufficiale dello status di pandemia dovrebbe davvero smuovere i nostri cugini europei (e non solo, l’Oms è seriamente preoccupata per la gestione statunitense dell’emergenza Covid-19).

Durante la conferenza stampa il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha sottolineato la preoccupazione “per i livelli allarmanti di diffusione e gravità” ma anche per l’ “inazione” degli stati.

Impressione confermata anche da Walter Ricciardi alla trasmissione televisiva Agorà, durante cui ha dichiarato che l’Oms ha contatti continui con i ministri della salute di tutte le nazioni e che la sensazione è quella che la consapevolezza ci sia, ma c’è difficoltà a far accettare la necessità di provvedimenti rigidi ai colleghi responsabili di altri dicasteri.

Francia

Così sembra essere per la Francia, che ufficialmente si trova al livello di allerta 2 (su 3) e dove i casi nel giro di qualche giorno si sono moltiplicati fino a raggiungere quota 2.281, con 48 vittime e un centinaio di pazienti in rianimazione. Numeri che sembrano non bastare a Macron e al suo governo. Il presidente francese è stato ripreso mentre girava per ospedali per assicurarsi che i piani di emergenza fossero pronti a partire e dovrebbe parlare alla nazione nelle prossime ore, ma sembra abbia escluso per ora provvedimenti drastici simili a quelli italiani. Locali e negozi sono aperti senza restrizioni, e anche le manifestazioni sotto le mille persone sono consentite (solo qualche giorno fa c’erano circa 3.500 persone a Landerneau convinte di puffare il virus).

Germania

La Germania sa di essere all’inizio dell’epidemia, a livello dell’Italia a fine febbraio. La cancelliera Angela Merkel ha ammesso poche ore fa che probabilmente il 60-70% dei cittadini sarà contagiato dal coronavirus, aggiungendo che verranno prese misure adeguate con l’evolversi della situazione, che ha definito imprevedibile. Eppure l’Italia è proprio sotto il naso. Più preciso il ministro della salute tedesco Jens Spahn che ha dichiarato in un’intervista radiofonica a Deutschlandfunk che l’obiettivo della Germania oggi è rallentare la diffusione del virus per ridurre al minimo il picco epidemico e quindi il carico sul sistema sanitario nazionale, che seppure sia uno degli migliori in Europa, con il maggior numero di posti in terapia intensiva, potrebbe essere presto travolto. Per questo – ha detto – grandi eventi come le partite di calcio devono essere annullati. Sorprendentemente però – riporta l’agenzia Reuters – per ora non è stata annullata la partita tra Union Berlin e Bayern Monaco che si dovrebbe tenere sabato a Berlino.

La Germania, comunque, non chiuderà i confini, come invece hanno già fatto Austria e Slovenia che stanno limitando l’ingresso delle persone provenienti dall’Italia, mentre le merci circolano liberamente.

Spagna

Anche la Spagna sembra essersi svegliata improvvisamente nel mondo reale. Le ultime dichiarazioni del ministro della salute Salvador Illa parlano di 2.236 casi di contagio (decuplicati nel giro di una settimana), con 138 pazienti guariti e 54 decessi. Il Governo in queste ore ha cambiato rotta, vietando per esempio le riunioni al chiuso di oltre le mille persone nelle regioni più colpite (Madrid, la regione della Rioja e due aree nei Paesi Baschi settentrionali). Le scuole sono chiuse, le partite di calcio della Liga si giocheranno a porte chiuse per almeno due settimane. Il telelavoro è raccomandato e persino la camera bassa del Parlamento resterà chiusa per una settimana dopo che l’esponente dell’estrema destra Javier Ortega Smith è risultato positivo al tampone per il coronavirus. “Stiamo lavorando per evitare lo scenario italiano”, ha detto il ministro della in una conferenza stampa. “Con queste misure crediamo di poterlo evitare. E se dovremo prendere misure aggiuntive, le prenderemo”. Contestualmente il primo ministro Pedro Sanchez ha dichiarato che il governo garantirà medicinali e linee di credito alle piccole e medie imprese colpite dall’esplosione dell’epidemia.


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