Gli scioperi “per la pace” servono più a lui che ai lavoratori. E il sospetto cresce: Landini usa la CGIL come trampolino politico.
Maurizio Landini parla di “pace”, ma intanto prepara lo sciopero del 25
ottobre contro il riarmo. Un gesto simbolico che sembra più un test di
popolarità che una battaglia sindacale. Il dubbio cresce: sta ancora difendendo
i lavoratori o già pensa a una poltrona in Parlamento?
“È facile fare il pacifista con lo stipendio garantito. Meno facile spiegare agli operai che scioperano contro il proprio lavoro perché lo chiede il loro segretario generale.”
Maurizio Landini si presenta come la voce dei
lavoratori. Ma a sentirlo parlare, viene da pensare che stia usando quella voce
per parlare di sé stesso.
Da tempo, il leader della CGIL sembra più interessato alla scena
politica che alla contrattazione sindacale. Ora arriva lo sciopero “contro il
riarmo”, una scelta che più che difendere la classe operaia la mette in
difficoltà.
Le fabbriche della difesa — Leonardo,
Fincantieri, e tutto l’indotto — guardano con preoccupazione. Perché quando un
sindacato scende in piazza contro le armi, a rischiare il posto non è il
segretario, ma l’operaio.
Un piede in fabbrica, l’altro in Parlamento
È la domanda che molti, anche dentro la CGIL,
si stanno ponendo: Landini si prepara a entrare in politica?
Le sue parole, i toni, perfino le piazze sembrano quelle di un candidato in
campagna elettorale.
Parla di “pace nel mondo”, ma non dice nulla sulla pace nelle buste paga. E
così, mentre le sigle sorelle — Cisl e Uil — lavorano a tavoli concreti,
Landini preferisce i microfoni e le dirette TV.
Il risultato? Un sindacato che fa più rumore
che risultati.
Un leader che usa la causa pacifista per alimentare la propria immagine
pubblica.
La pace a spese di chi lavora
Dietro la retorica del “no al riarmo” si
nasconde un paradosso gigantesco: Landini chiede sacrifici proprio a chi non
può permetterseli.
Scioperi, giornate perse, stipendi più leggeri — tutto in nome di una
“pace” che resta solo uno slogan.
Cisl e Uil hanno ragione a ironizzare: “Siamo
su Scherzi a parte?”
Perché la vera pace, per chi lavora, si chiama contratto rinnovato.
Si chiama stipendio
dignitoso. Tutto il resto è teatro.
Il teatro del protagonismo
Landini non rappresenta più i lavoratori: li
interpreta.
Ogni sciopero, ogni comizio, ogni slogan sembra pensato per i titoli dei
giornali, non per i tavoli di trattativa.
Il sindacato è diventato il suo palco personale. E la CGIL, una macchina
elettorale in attesa di una nuova destinazione politica.
E i lavoratori? Sempre gli ultimi
E qui sta la domanda che nessuno, in via
ufficiale, osa fargli:
Cosa ne pensano davvero i lavoratori di Landini?
Davvero credono che scioperare per la “pace”
aiuti la loro causa? O hanno capito che il loro leader ha smesso di difenderli,
e ora difende solo la propria carriera?
Landini non vuole la pace. Vuole il potere.
E come sempre, il prezzo lo pagheranno loro: gli operai, gli
impiegati, i precari — gli unici che non possono permettersi di giocare alla
politica.
