19 novembre 2025

Quirinale intoccabile: la nuova ipocrisia Dem sulla libertà di stampa.

Quando sento ripetere che «non si può toccare il Quirinale», a me scatta un riflesso di diffidenza. Non perché non rispetti la Presidenza della Repubblica – al contrario: proprio perché la rispetto, non mi piace vederla trasformata in un totem intoccabile, attorno al quale partiti e commentatori si muovono come chierichetti improvvisati.

In questi giorni la scena è surreale: la stessa area politica che negli anni Settanta e Ottanta organizzava campagne durissime contro Giovanni Leone, fino a spingerlo alle dimissioni in pieno clima Lockheed, e che nei confronti di Cossiga arrivò a chiedere l’impeachment, ora si presenta come corpo di guardia del Colle, con elmo da corazziere e mano sul cuore.

Il copione è noto: La Verità pubblica ricostruzioni scomode sul consigliere Garofani, Bignami chiede spiegazioni, il Quirinale risponde parlando di «attacco ridicolo» e subito parte il coro della sinistra unita. Prima la difesa d’ufficio di Mattarella, poi la richiesta rituale: Giorgia Meloni venga in aula a “rendere conto al Parlamento e al Paese” e prenda le distanze da dichiarazioni che metterebbero a rischio le relazioni con il Colle. Le formule, riportate dagli stessi giornali che amplificano la polemica, sembrano davvero frasi standard, buone per ogni indignazione: basta cambiare il nome del bersaglio, il resto è in fotocopia.

Quello che mi colpisce è l’ipocrisia di fondo. Per decenni la sinistra ha rivendicato il valore “civile” dell’informazione: la stampa come cane da guardia della democrazia, la libertà di inchiesta come pilastro della Repubblica. Oggi, appena un quotidiano non allineato mette il naso nelle retrovie del Quirinale, quelle stesse forze politiche scoprono improvvisamente che la libertà di stampa ha un limite: il perimetro del Colle.

La reazione è sempre la stessa: si squalifica la domanda, mai il contenuto. Il giornale diventa “fazioso”, lo scoop una “bufala”, il direttore uno che si nasconde dietro la libertà di stampa. Nel frattempo, un dettaglio rimane lì, sospeso: il diretto interessato, il consigliere tirato in ballo, non smentisce in modo chiaro e pubblico le frasi che gli vengono attribuite. E questo, in un Paese normale, basterebbe a giustificare la curiosità – e la testardaggine – di chi fa il nostro mestiere di lettori e cittadini.

Personalmente, trovo molto più pericoloso il clima che si sta costruendo, rispetto all’eventuale eccesso polemico di un quotidiano. Perché se passa il principio che chiedere conto delle parole di un consigliere equivale ad “attaccare il Presidente”, abbiamo già accettato l’idea che l’istituzione e il suo entourage siano una cosa sola, indistinguibile e soprattutto insindacabile.

Il paradosso è che proprio chi si indigna ogni giorno – per Gaza, per i condoni, per qualunque tema consenta una conferenza stampa e qualche hashtag – oggi si mobilita non per difendere la libertà di stampa, ma per mettere il silenziatore a un giornale che non sopporta. E lo fa appellandosi alla sacralità del Colle, dopo aver passato mezzo Novecento a demolire predecessori del Capo dello Stato di turno a colpi di editoriali e manifestazioni di piazza. Io non voglio un Quirinale insultato ogni settimana, ma voglio un Quirinale che può essere raccontato, criticato, messo in discussione quando emergono notizie sui suoi consiglieri. E voglio partiti che, se credono davvero nei media come presidio democratico, difendano anche il diritto del giornale più antipatico del mondo di pubblicare domande scomode.

In fondo la scelta è semplice: preferisco un Colle rispettato ma discutibile a un santuario circondato da fedeli improvvisati. La democrazia non ha bisogno di corazzieri in più; ha bisogno, semmai, di qualche bavaglio in meno.

 

 

 


on mercoledì, novembre 19, 2025 by Paolo Corrias | Leave a comment 

0 comments:

Posta un commento