Da due antiche abitazioni nel cuore di Arbus a un centro culturale moderno.
Non avrei mai pensato che una semplice visita a un
museo potesse trasformarsi in un’esperienza capace di toccarmi così profondamente.
Quando si parla di musei, l’immaginario comune rimanda a teche illuminate,
oggetti antichi custoditi dietro vetri, percorsi didattici scanditi da
cartellini descrittivi. Ma il Museo Corda di Arbus è tutt’altro. È un
luogo che conserva ancora il respiro di chi lo ha abitato, che mantiene la
dimensione calda e accogliente di una casa, pur aprendosi come spazio culturale
moderno.
Appena varcato il portone di via Giardini 1, ho capito
che non stavo entrando in un museo nel senso classico del termine, ma in un
racconto. Un racconto che si svolge tra pietre antiche, cortili condivisi,
camini anneriti dal tempo. Un racconto che ha la voce di Antonio Corda,
l’uomo che ha trasformato due abitazioni ottocentesche in un gioiello per la
comunità, e che ho avuto il privilegio di ascoltare di persona durante la mia
visita.
Ad accompagnarmi c’era anche l’Ingegnere Mariella Amisani, presidente di Assogal Sardegna e del GAL Linas Campidano, che con la sua visione lucida e competente mi ha permesso di comprendere quanto il Museo Corda non sia soltanto memoria, ma anche futuro, un laboratorio di identità e di sviluppo per Arbus e per l’intero territorio.
La bellezza dell’autenticità
Ciò che colpisce entrando è l’autenticità. Non si
tratta di ricostruzioni scenografiche, ma di ambienti reali, conservati con
cura e rispetto.
Al piano terra, le forreddas, gli antichi
fuochi per cucinare, sono ancora lì, come se aspettassero che qualcuno vi
accenda il fuoco. Il forno del pane sembra pronto a diffondere nuovamente il
suo profumo caldo e familiare. Le nicchie nelle pareti raccontano la vita
semplice di chi custodiva l’acqua nelle brocche. Le porte in legno, consumate
dal tempo, trasmettono ancora la sensazione di mani che le hanno aperte e
chiuse per decenni.
I pavimenti in cementine, con i loro disegni
geometrici, sono un inno alla bellezza artigianale: camminarci sopra significa
sentire i passi di chi li ha percorsi in passato. Non si osservano soltanto
oggetti: si respira la vita di chi ha vissuto in quelle stanze.
Antonio Corda, con il suo entusiasmo, mi raccontava come ogni elemento fosse stato ritrovato, recuperato, riportato alla luce con fatica e dedizione. E mentre parlava, non descriveva solo il museo: raccontava un pezzo di sé, perché questo luogo è ormai parte della sua identità.
I dettagli che commuovono
Tra i tanti elementi che mi hanno colpito, uno in
particolare merita di essere ricordato: i numeri civici interni ritrovati durante
i lavori di ristrutturazione. Piccole targhette apparentemente insignificanti,
che segnavano gli accessi alle abitazioni all’interno del cortile comune.
Antonio non li ha considerati rottami da eliminare, ma li ha riposizionati al
loro posto. Un gesto che rivela sensibilità e rispetto: anche i dettagli minimi
sono tracce di vita e meritano di essere custoditi.
E poi c’è la mola asinaria, un vecchio strumento per macinare, ritrovato spezzato e ricomposto. Vederla lì, nel cortile, ha avuto per me un effetto quasi simbolico. Quella mola rappresenta la capacità di resistere, di rinascere, di ritrovare unità anche quando si è spezzati. È la metafora perfetta del museo stesso: raccogliere frammenti di passato per costruire nuova vita.
Antico e moderno in dialogo
Il Museo Corda non è fermo nel tempo. È un luogo che
unisce memoria e modernità.
Al primo piano ci sono spazi più semplici,
utilizzati come deposito. Ma è al secondo piano che si apre la
dimensione contemporanea: una biblioteca, una sala conferenze, spazi espositivi
polifunzionali. Ambienti luminosi e dinamici, pronti a ospitare incontri,
mostre, eventi culturali.
L’Ingegnere Amisani ha sottolineato proprio questo aspetto: “Il museo non è solo un contenitore del passato, ma uno strumento per guardare avanti”.
Un museo con un’anima: AMAS
Il
museo nasce con l’ambizione di essere un museo etnografico aperto, vivo, dinamico, singolare.
Non un contenitore statico, ma un organismo in continuo dialogo con la
comunità. Un museo con un’anima, progettato come perno strategico e punto di riferimento
per raccontare non solo Arbus, il suo territorio, le sue attività e le sue
produzioni, ma anche la Sardegna intera.
Qui
non si celebra soltanto il passato locale: si raccontano i modi di vivere dell’isola, la
sua cultura e la sua identità, attraverso il filo conduttore
dei mestieri e delle tradizioni artigianali. Il Museo AMAS diventa così una
preziosa testimonianza della cultura tradizionale del territorio sardo, un luogo dove
ogni oggetto, ogni racconto, ogni ambiente contribuisce a tessere un mosaico
più grande: quello della memoria collettiva di un popolo.
La collezione
Questa
collezione non è nata per caso, ma dalla passione personale di Antonio Corda, che dal 2000 ha
iniziato a raccogliere oggetti antichi di natura etnografica. Una ricerca
instancabile, ancora in corso, che ha dato vita a un mosaico prezioso di
utensili, attrezzi, arredi, biancheria e manufatti.
Quello
che colpisce è la varietà: anche quando gli oggetti sembrano simili, magari
“doppi” o “tripli” come genere, ognuno ha la sua particolarità. Differiscono
per forma, dimensione, colore, decoro. Ognuno racconta una storia a sé,
testimonia un gesto, un mestiere, un modo di vivere.
La
collezione, infatti, documenta oltre 50 mestieri della tradizione sarda, antichi e meno
antichi, alcuni ormai scomparsi e altri ancora praticati. È proprio da questa
ricchezza che deriva il nome del museo: “Arti e mestieri antichi della Sardegna”.
Tra
i pezzi più significativi ci sono 155 oggetti e strumenti del lavoro contadino, 49 strumenti per la lavorazione delle fibre, 49 tessuti e 10 casse
lignee sarde. Tutti datati tra la fine del XIX e la metà del XX
secolo.
Non
si tratta soltanto di oggetti belli da vedere: la loro importanza è stata
riconosciuta ufficialmente. La Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e
Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e
Sud Sardegna, insieme al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e
Turismo, li ha dichiarati di interesse culturale e di rilevante valore storico-artistico e
demoetnoantropologico.
Questa collezione rende il Museo Corda non solo un luogo della memoria architettonica e quotidiana, ma anche un grande archivio materiale della tradizione sarda, capace di raccontare mestieri, tecniche e saperi che hanno costruito l’identità dell’isola.
Un museo vivo, non un museo muto
La vitalità del Museo Corda si percepisce ovunque. Il
cortile, un tempo cuore delle famiglie che lo abitavano, è ancora oggi luogo di
incontro e socialità. La zona bar al piano terra rende l’esperienza accogliente
e conviviale: non si esce subito dopo la visita, ma ci si ferma, si
chiacchiera, si riflette.
Questo museo non è un mausoleo del passato: è un organismo vivo, capace di accogliere e di restituire energia.
La sorpresa della conferenza sui barbieri di Arbus
La mia visita ha coinciso con un evento che ha reso
tutto ancora più speciale: una conferenza dedicata alla storia dei barbieri di Arbus.
Seduto nella sala conferenze, ho ascoltato racconti
che riportavano indietro nel tempo, quando le barberie non erano solo luoghi
dove tagliare i capelli o farsi la barba, ma veri centri di socialità. I
barbieri erano custodi di storie, confidenti, mediatori della comunità.
Quello che mi ha affascinato di più è stato il
racconto della barbiera, una
donna che, in un’epoca in cui questo mestiere era dominio maschile, seppe affermarsi
con competenza e coraggio. Una figura che rompeva gli schemi e che ci ricorda
come anche i luoghi più umili, come una barberia, possano custodire storie di
emancipazione e di cambiamento.
Ascoltare quella conferenza dentro il Museo Corda è stato come vedere la missione del museo realizzarsi davanti ai miei occhi: non solo conservare mura e oggetti, ma dare voce a storie, mestieri, persone che hanno plasmato l’identità di Arbus.
Memoria come radice di futuro
La visita al Museo Corda mi ha fatto riflettere su un
punto fondamentale: la memoria non è un esercizio nostalgico, ma una radice
necessaria per costruire il futuro.
Senza memoria, i paesi perdono la loro identità. Senza
memoria, i luoghi diventano anonimi. Senza memoria, le comunità smettono di
riconoscersi. Il Museo Corda dimostra che custodire il passato non significa
rinchiuderlo, ma trasformarlo in energia viva per il presente e il futuro.
E qui sta il valore aggiunto di questo progetto: non un museo statico, ma un polo dinamico, che offre alla comunità spazi di incontro, strumenti culturali, occasioni di crescita.
La mia gratitudine personale
Quando la visita è terminata, mi sono fermato ancora
una volta nel cortile. Ho guardato le pietre antiche, la mola ricomposta, la
passerella che univa le due case. E ho sentito dentro una gratitudine profonda.
Il Museo Corda non mi aveva soltanto mostrato stanze e
oggetti, ma mi aveva fatto vivere un’esperienza umana, culturale ed emotiva. E
questo era stato possibile grazie ad Antonio Corda, che con passione mi
ha accompagnato tra i segreti del museo, raccontandomi la sua storia come se
fossi un amico.
E grazie anche all’Ingegnere Mariella Amisani, che con le sue parole ha dato respiro più ampio alla visita, mostrando come il museo non sia solo un bene culturale, ma un motore di identità e di sviluppo per l’intera comunità.
Conclusione: un luogo che resta
Il Museo Corda non è solo un luogo da visitare: è
un’esperienza da vivere. È un ponte tra passato e futuro, tra memoria e
innovazione, tra intimità domestica e apertura comunitaria.
Chi entra qui non troverà soltanto pietre, camini o
pavimenti antichi: troverà emozioni, storie, persone. Troverà un modo diverso
di intendere la parola “museo”.
Per questo voglio concludere con un ringraziamento
speciale: grazie ad Antonio Corda e all’Ingegnere Mariella Amisani per
aver reso questa visita un’esperienza unica, autentica e indimenticabile.
Uscendo dal Museo Corda ho avuto la certezza che
tornerò. Perché ci sono luoghi che non si visitano una sola volta: si vivono,
si custodiscono dentro, si portano nel cuore.


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