Ci sono notizie che non passano inosservate. L’annuncio del Regno Unito sul primo regime sanzionatorio globale contro il traffico di esseri umani è una di quelle notizie che mi spinge a scrivere non da osservatore esterno, ma da cittadino che sente, che ha visto, che ha ascoltato troppe storie spezzate sui marciapiedi delle nostre città e sulle coste del nostro Mediterraneo.
Sono fermamente a favore di questa
scelta. Finalmente, qualcuno ha avuto il coraggio di guardare in faccia il
cuore marcio del problema e di chiamarlo con il suo nome: crimine.
Perché di questo si tratta. Non di flussi, né di fenomeni “complessi” da
gestire con diplomazia sterile o parole ambigue. Stiamo parlando di reti
criminali internazionali che sfruttano, ingannano, umiliano e spesso condannano
a morte persone disperate. Ed è ora che vengano trattate come meritano.
Congelare i beni, vietare l’ingresso nel
Paese, impedire qualsiasi legame con il sistema economico britannico: sono
misure giuste, proporzionate, necessarie. Perché se è vero che non si possono
salvare tutte le vite solo con la repressione, è anche vero che non si può
restare passivi mentre bande criminali organizzano attraversamenti in gommoni
fatiscenti e vendono illusioni a caro prezzo. Ogni euro pagato ai trafficanti è
un mattone in più nel muro del disumano. E dietro quel denaro, ci sono sempre
le stesse facce: uomini armati, mercanti di morte, profittatori della miseria.
Chiunque abbia visto le immagini dei
cadaveri galleggianti nel Mediterraneo o ascoltato le testimonianze di chi è
sopravvissuto a torture nei centri di detenzione libici, non può non sentire
dentro sé un bisogno urgente di giustizia. Non basta commuoversi. Bisogna
agire. E questo regime sanzionatorio britannico è un primo segnale forte: basta
tolleranza verso chi lucra sulla speranza altrui.
Certo, so bene che da solo non basterà.
Lo so, perché dietro la migrazione irregolare c’è un intero mondo di
disuguaglianze, guerre, fallimenti politici, sogni infranti. Ma ogni lungo
cammino comincia da un passo, e questo è un passo nella giusta direzione. È una
dichiarazione netta: non ci sarà più complicità economica o istituzionale con
chi si arricchisce facendo attraversare clandestinamente confini, spezzando
famiglie, cancellando identità.
Questa iniziativa manda anche un
messaggio importante ai cosiddetti “facilitatori”: aziende, finanzieri,
organizzazioni ambigue che, fino a ieri, potevano operare indisturbate
nell’ombra, vendendo motori per gommoni o riciclando denaro con circuiti
alternativi. Ora anche loro avranno un prezzo da pagare. E io dico: era ora.
Lo dico senza alcuna retorica, ma con la
convinzione profonda che ci siano momenti in cui bisogna scegliere da che parte
stare. Io sto dalla parte dei diritti umani, non della loro caricatura. Sto
dalla parte di chi non accetta più che il cinismo travesta la crudeltà con la
maschera dell’efficienza. Sto dalla parte di chi crede che la libertà e la
dignità debbano essere protette anche con strumenti forti,
quando servono.
Sento spesso dire che queste misure
rischiano di penalizzare i migranti. Ma è vero il contrario: non colpire i
trafficanti significa lasciarli agire impuniti. Vuol dire accettare che il
viaggio della speranza resti monopolio della criminalità organizzata. Vuol dire
voltarsi dall’altra parte mentre altri si arricchiscono vendendo morte.
Mi auguro che altri governi europei – e
non solo – seguano l’esempio. Che si crei una rete sanzionatoria
internazionale, capace di bloccare i flussi finanziari e logistici che
alimentano questa macchina dell’orrore. E allo stesso tempo, mi auguro che si
aprano canali umani, legali e sicuri per chi cerca una nuova vita. Repressione
e protezione devono camminare insieme. Non esiste giustizia se non protegge i
più fragili, e non esiste protezione vera senza giustizia contro chi li
sfrutta.
Questo nuovo regime sanzionatorio è un passo storico. È una promessa concreta. È una battaglia che va combattuta con determinazione. Perché difendere la vita significa anche questo: impedire che venga venduta al miglior offerente.


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