C’è
un valore sottile, e spesso trascurato, nei compromessi. È il valore della
stabilità in tempi turbolenti, della pazienza quando il mondo corre, della
lucidità quando sarebbe più facile gridare. È questo che ho pensato ieri sera,
mentre leggevo dell’accordo raggiunto a Turnberry, in Scozia, tra la presidente
della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il presidente americano Donald
Trump.
Non
è solo un'intesa commerciale. È un gesto politico, simbolico e – nel suo
piccolo – anche culturale. È un segnale che, tra due colossi economici come
l’Unione Europea e gli Stati Uniti, il filo del dialogo resta saldo. E questa,
da semplice cittadino europeo, mi pare una buona notizia.
Il
cuore dell’intesa è semplice: un dazio uniforme del 15% sulle esportazioni
europee verso gli Stati Uniti, incluse automobili, farmaci e semiconduttori.
Certo, non è un regalo. Ma è una soglia che, rispetto alle previsioni di un
possibile 30%, rappresenta una forma di equilibrio. Lo ha detto con onestà la
presidente von der Leyen: “È il massimo che siamo riusciti a ottenere”.
Come
cittadino, non ho strumenti per giudicare la complessità delle trattative, ma
posso apprezzare un risultato che – pur imperfetto – ha evitato l’irrigidimento
dei rapporti e un’escalation di tensioni commerciali. In un’epoca in cui i dazi
vengono usati come armi, questa è già una vittoria di maturità politica.
C’è
un altro aspetto dell’accordo che merita attenzione. L’Unione Europea si è
impegnata ad acquistare energia statunitense per un valore complessivo di 750
miliardi di dollari in tre anni, favorendo così il progressivo distacco dai
combustibili fossili russi.
Una
mossa che, pur con i suoi costi, indica una scelta di indipendenza strategica.
Ci stiamo allontanando da vecchie dipendenze, da equilibri rischiosi. E anche
se la transizione energetica è ancora lunga, questi sono i primi mattoni su cui
costruire una maggiore autonomia.
Non
solo: anche l’ambito militare è parte del pacchetto. L’Europa acquisterà nuove
forniture militari dagli USA. È un tema delicato, su cui le opinioni si
dividono. Ma non si può ignorare che in un mondo instabile, con conflitti alle
porte dell’Europa, rafforzare la cooperazione tra alleati storici significa
anche rafforzare la sicurezza condivisa.
L’accordo
prevede anche l’azzeramento reciproco dei dazi su una lista di settori
strategici: aeromobili, componentistica, farmaci generici, semiconduttori,
alcuni prodotti agricoli. È un primo passo. E la stessa von der Leyen ha
promesso che si lavorerà per allargare questo elenco.
Certo,
alcuni nodi restano da sciogliere – come quello dei dazi su vino e
superalcolici – ma l’apertura al confronto continuo mi sembra più importante
del risultato immediato. Significa che non è un’intesa chiusa, ma un processo
in evoluzione. E in un mondo che cambia rapidamente, il fatto stesso di poter
aggiornare e migliorare un’intesa è già un punto di forza.
Non
ho appartenenze politiche da rivendicare, né tesi da difendere. Scrivo solo da cittadino
europeo attento e coinvolto, che non vuole lasciarsi andare al cinismo o alla
sfiducia. Forse perché credo ancora che l’Europa, pur tra mille limiti, possa
essere un esempio di dialogo in un tempo che predilige lo scontro.
In
questo accordo vedo non la resa a una potenza più forte, ma la scelta
consapevole di restare interlocutori credibili, capaci di trattare, di
difendere i nostri interessi, di costruire ponti anche quando sembra più facile
alzare muri.
Viviamo
un’epoca difficile, in cui ogni notizia sembra subito diventare polarizzante.
Ma non tutto è bianco o nero. A volte, nel mezzo, ci sono intese come questa,
che non brillano per spettacolarità ma che, silenziosamente, fanno funzionare
il mondo.
A
distanza di 24 ore, rileggo le parole dei due protagonisti dell’accordo: Trump
entusiasta come sempre, von der Leyen prudente ma ferma. Tra i due stili, due
visioni. Ma la sostanza rimane: ci siamo parlati, abbiamo trovato un punto d’incontro.
E
se c’è una lezione da trarre, forse è questa: in tempi incerti, la forza non
sta solo nella potenza, ma nella continuità del dialogo.
Io,
da cittadino europeo, lo considero un passo nella direzione giusta. Piccolo,
forse. Ma necessario.


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